Editoriale del n. 41 del 24 novembre 2013


I lavori sulle chiese e l’esasperazione dei cittadini.

 

Un anno e mezzo dopo Regole e responsabilità

di Benedetta Bellocchio

 

Non stupisce che tra i bersagli dell’esasperazione dei cittadini per la lentezza della ricostruzione delle abitazioni private rientrino anche le messe in sicurezza o i primi lavori di recupero degli edifici religiosi. Ma è bene fare chiarezza su regole e responsabilità. Monsignor Francesco Cavina ha sempre sostenuto con forza che le priorità del post terremoto sono ospedali, scuole, case e luoghi di lavoro; all’ultimo posto, le chiese. Massimo è il rispetto delle ordinanze, nella loro successione temporale; non esistono vie preferenziali e parlano i fatti. Otto sacerdoti, più il Vescovo, sono ancora fuori casa, a Limidi come a San Giacomo, a Budrione come a San Martino Spino. Parroci che hanno in affido la cura delle anime e che con esse condividono quotidianamente le difficoltà burocratiche, la precarietà delle loro sistemazioni, la stanchezza del non potere mai, la sera, “tornare a casa”. Le canoniche, al pari delle abitazioni di tanti cittadini, sono ancora in attesa di sistemazione. Si va con il mude o con i percorsi predisposti per i beni culturali, trattandosi in molti casi di edifici storici. Solo in questi giorni è iniziata la messa in sicurezza interna del Palazzo Vescovile, l’ultima per la Diocesi. Perché sono in luoghi di lavoro provvisori, oltre a monsignor Cavina, i dipendenti della curia ‘ l’economo e lo staff dei tecnici per la ricostruzione, l’ufficio pellegrinaggi e il centro missionario, la pastorale giovanile, la scuola, i beni culturali e la cancelleria. I cantieri partono quando sono approvati sia i progetti che i finanziamenti, che sono vincolati a ciascuna opera, secondo le norme vigenti. Non iniziare, ritardare, ritoccare gli iter per essere più politically correct significa venir meno al proprio mandato e perdere i fondi. “Come tutti ci siamo trovati di fronte a un impegno e a delle responsabilità molto grandi. Abbiamo il dovere della trasparenza di fronte alle istituzioni pubbliche e ai cittadini, e il compito di fare bene la nostra parte di lavoro, che riguarda non solo le chiese, ma anche e prima di tutto scuole, canoniche e oratori”, chiariscono i tecnici della Diocesi. Le chiese, poi, non sono ‘ e non vanno ‘ abbandonate a se stesse; ma quelle che non è possibile riaprire, perché i danni sono gravi, è giusto che rientrino nell’ultima parte del piano per la ricostruzione. Sono lì da diciotto mesi come le case e non sempre è stato possibile, dopo aver escluso ogni rischio di ulteriori e pericolosi crolli, intervenire per la salvaguardia dei beni: i Vigili del Fuoco e gli operai delle imprese rischiano la vita. La Soprintendenza ha visitato, insieme alle ditte, decine di volte il Duomo di Mirandola, è stata spesso a Fossoli, Rovereto, Mortizzuolo e negli altri edifici storici. Non c’è in questo nulla di strano: ciascuno svolge il proprio lavoro. Serve tempo per elaborare e poi per far approvare i progetti. Complessi, sviluppati nell’ottica della massima sicurezza e del miglioramento sismico. Molte parrocchie ‘ fedeli e parroci ‘ reclamano notizie dettagliate: quando riapriremo Novi? La Cattedrale? Cortile? Come ad ospedali, municipi, biblioteche, anche alle chiese è riconosciuto un ruolo di servizio pubblico essenziale per le comunità. Lo si è toccato con mano a Rolo, a Sant’Antonio in Mercadello: gremite come non mai, la gente che si ritrova e si riconosce come popolo. A Concordia si entra domenica nella nuova struttura ma il progetto è, come ovunque, riaprire la chiesa madre in centro storico. Certo prima vengono le persone, ma riaprirla, perché altrimenti – lo dicono gli altri e non il parroco – “il centro non rinasce”. Non è solo questione di salvaguardare delle proprietà; c’è da tener fede all’impegno di ricostruire la Diocesi, cioè farla ripartire nelle sue articolazioni centrali e periferiche e dare alle persone luoghi in cui vivere la fede. “Questo è l’onere che spetta a noi e del quale siamo chiamati a rispondere di fronte a tutti”, riferiscono i tecnici. Non si può improvvisare, né agire di istinto sull’onda delle emozioni. Con le regole, i tempi e i percorsi che ci sono, ciascuno è chiamato a fare il proprio lavoro e ad assumersi le responsabilità che gli competono. Perché è troppo comodo prendersi quelle degli altri.