Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni

Domenica 22 aprile

La visione del Regno di Dio, così com’è stata annunciata da Gesù Cristo duemila anni fa, esige oggi più che mai, una decisa assunzione di responsabilità. Non fosse altro perché ogni credente, in quanto soggetto agente, ha e deve avere la consapevolezza della possibilità di influire sulle vicende umane per trasformarle. Non esistendo deroghe che ci possono sollevare dall’impegno evangelico di essere concretamente segni di “contraddizione”, contrastando di fatto gli effetti di una cultura all’insegna della silenziosa e minacciosa indifferenza, mai come oggi la fraternità, la missione di essere concretamente “fraternità operante” deve essere il paradigma di ogni genere di evangelizzazione. Infatti, questa operazione è necessaria per potere intervenire adeguatamente sulle cause stesse di disparità, modificando le logiche che ne sono alla base, per ridare senso e significato all’esistenza umana e giungere a recuperare la ragioni della speranza. Nel comando di Gesù “andate” sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della Chiesa attraverso una concreta e solida fraternità. In essa tutti sono chiamati ad annunciare il vangelo concretamente con la testimonianza della vita; e in modo speciale ai consacrati è chiesto di ascoltare la voce dello Spirito che li chiama e convoca ad andare concretamente verso le nostre grandi e piccole “periferie” esistenziali, che esistono nonostante le rassicurazioni che da più parti vengono dichiarate. Dobbiamo riscoprire in noi la capacità di percepire la realtà complessa che ci attornia, non soltanto con la forza chiarificatrice, seppur limitata, della ragione, ma soprattutto con i doni della fede, della speranza e della carità. Continuare testardamente sulle “solite” strade, accontentandosi di un cristianesimo “liofilizzato”, il più delle volte ingessato, fatto talvolta con la riscoperta di merletti e candelabri, non fa che aumentare la frustrazione e la crisi. Il problema di fondo, secondo il mio modesto parere, è che per fare ciò occorre la consapevolezza di dire la verità rispetto ai tempi difficili, intesa come coraggio di “osare”. Per questo “una chiesa che voglia essere compagna dell’uomo e testimone dello Spirito deve liberarsi del complesso di superiorità nei confronti del mondo, anzi, deve essere disposta a perdersi”, come insegnatoci dal grande ed indimenticabile Vescovo don Tonino Bello. Dal resto anche a Carpi, dalla diocesi, sale il grido spesso inascoltato e incompreso, che l’evangelista Giovanni mette in bocca ai greci saliti a Gerusalemme: “Vogliamo vedere Gesù!” (Gv 12,21).
 
Ermanno Caccia

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