Il 15 agosto, solennità dell’Assunta, nella parrocchia di Celentino in val di Pejo che ha dato i natali ai genitori di Odoardo Focherini, emigrati a Carpi sul finire del 1800, il vescovo Luigi Bressan ha consegnato al parroco don Enrico Pret e alla comunità una reliquia del beato donata dal vescovo di Carpi, monsignor Francesco Cavina. Hanno presenziato figli, nipoti e i pronipoti di Focherini, la popolazione della piccola realtà frazionale che un anno dopo la scomparsa del martire nel campo di concentramento tedesco di Hersbruck gli aveva dedicato una lapide, il sindaco Angelo Dalpez, il presidente dell’Asuc Ambrogio Pretti con le note del Corpo bandistico Val di Peio e del coro parrocchiale. Nella Messa concelebrata da una decina di sacerdoti, monsignor Bressan ha osservato come il ricordo del beato Odoardo e delle sue origini riproponga l’importanza dell’educazione cristiana in famiglia, fin dai primi anni dell’infanzia: “Non è possibile, né giusto – ha detto nell’omelia – delegare tutto alle istituzioni e a più tardi, tralasciando l’insegnamento religioso in casa”.
La reliquia che evoca il suo esempio di eroicità contiene un pezzetto di stoffa di uno degli indumenti indossati dal beato, in quanto del suo corpo non era rimasto nulla perché ridotto in cenere. Ricordando le vittime in molti Paesi del mondo per motivi politici e religiosi, Bressan ha citato una lettera del Focherini ai figli, scritta il 15 agosto del 1944, dal famigerato lager di Gries a Bolzano, in cui limitava le sue parole ad intrattenere come in un gioco la famiglia senza lamenti o richieste compassionevoli sul suo stato di detenuto. Qualche mese prima, il 31 maggio, dal carcere di Carpi scriveva al cognato Bruno Marchesi: “Se tu avessi visto, come ho visto io in questo carcere, cosa fanno patire agli ebrei, non rimpiangeresti se non di non aver fatto abbastanza per loro, se non di non averne salvati in numero maggiore”. Un amico personale di Focherini, Giacomo Lampronti in un libro rievocativo “Mio fratello Odoardo” ebbe invece a scrivere: “Non riusciamo a comprendere come un santo possa essersi assiso alla nostra mensa, a mangiare gagliardamente e gagliardamente bere, parlando di cose futili, scherzando, giocando con i nostri bambini, dormendo poi sotto il nostro tetto come un qualsiasi mortale”.
Sono i tratti del tutto normali e consueti, dipinti sabato 2 agosto a Rumo dalla nipote Maria Peri, ricercatrice universitaria, nel corso di un incontro nella sala civica promosso dai Rotary club del Trentino. Rumo aveva dato i natali a Maria Marchesi sposata dal Focherini nel 1930; dei sette figli, cinque vivono ancora e quattro erano presenti al dibattito con figli e nipoti. Odoardo fu uomo impegnato fino in fondo in tutte le attività: da collaboratore nel negozio di ferramento del padre, a studente ad assicuratore, ad amministratore del giornale l’Avvenire d’Italia, a giornalista, a oratoriano, a fondatore del primo nucleo di scout della regione a difensore degli ebrei. La relatrice ha ringraziato il presidente provinciale rotariano Luciano Paris e il sindaco di Rumo Michela Noletti per la grande testimonianza di solidarietà manifestata dalla comunità del luogo all’indomani della scomparsa del nonno, con l’assistenza alla vedova e ai sette figli. La continuità del legame si è tradotto nell’intitolazione della scuola al martire Odoardo. Era presente il giornalista Gianni Faustini, che sulle cronache locali aveva parlato di Focherini ancora prima del processo di beatificazione, grazie alla testimonianze dei familiari che ancor oggi frequentano Rumo per le vacanze estive. Le due comunità intendono proporre delle iniziative in ricordo del beato che amava le montagne del Trentino e che è riuscito a far innamorare anche i figli alla terra degli avi.
Marco Zeni
Direttore Vita Trentina