Dal 20 al 23 settembre scorsi, il Vescovo monsignor Francesco Cavina si è recato nuovamente in visita ad Erbil, il capoluogo del Kurdistan iracheno che ospita i campi profughi dei cristiani costretti ad abbandonare la città di Mosul e la Piana di Ninive dall’avanzata dell’Isis. Ad aprile, durante il suo primo viaggio, insieme alla Fondazione Aiuto alla Chiesa che Soff re (Acs), monsignor Cavina aveva incontrato alcune donne che, all’interno di un container nel campo profughi dei Caldei, riciclano diversi materiali realizzando opere in mosaico. In quell’occasione era nata la promessa di dotare il laboratorio di una macchina per tagliare il marmo. E così è stato. Il macchinario, donato da Alessandro Verasani, titolare di Veca Group di Soliera, è stato trasportato con un aereo Hercules messo a disposizione dal Ministero della difesa polacco. “Le operatrici del laboratorio ci hanno accolto piangendo – racconta monsignor Cavina -, temevano che la nostra fosse una delle tante promesse poi disattese, fatte sull’onda dell’emozione ma poi ben presto dimenticate”. Sono oltre sessanta le donne che ora lavorano nel campo, se ne sono aggiunte altre e hanno iniziato a svolgere anche altre piccole attività, oltre alla lavorazione del mosaico. Tutto questo, osserva, “per fare qualcosa che dia un senso alla loro vita, che altrimenti sarebbe fatta di nulla, aggravata dalla dolorosa condizione di chi è profugo, lontano da casa”. Il Vescovo racconta di aver trovato una situazione decisamente peggiorata rispetto a quattro mesi fa: di oltre 40 gradi la temperatura, la vita nei container senza aria, e ovunque, sovrana, regna la polvere. “Ad ogni minimo soffi o di vento la polvere si alza e ricopre tutto, cose e persone. Uomini, donne, bambini, hanno la disperazione negli occhi, hanno perso la fi ducia e ogni speranza di prospettiva futura. I bambini, poi, non hanno nulla: a loro la vita è stata rubata. Vivono in mezzo alla polvere, non hanno giochi. Le persone si avvicinavano a noi, ma non chiedevano soldi o altro bensì un sorriso, una carezza: ho giocato a biglie con i bambini”. Oltre ad Erbil, la delegazione ha visitato anche i campi più lontani, a Duhok – a 200 chilometri di distanza da Erbil -, ma vicini ai territori occupati dall’Isis. “Tutti ci chiedevano disperati: ‘Cosa ne sarà di noi e dei nostri fi – gli?’. Una piccola speranza si è aperta con l’apertura delle frontiere da parte dell’Australia: oltre 20 mila profughi provenienti da Siria e Iraq sono già partiti. Ma signifi ca abbandonare la propria terra, sradicare queste persone dalle loro radici”.