«Chiedete e vi sarà dato» è il titolo della catechesi dell’arcivescovo Erio Castellucci dedicata al tema dell’intercessione nell’ambito di “Credi tu questo?”, il percorso di formazione di base organizzato dalle Diocesi di Modena-Nonantola e di Carpi.
+ Erio Castellucci
Certo che Gesù doveva pregare in modo attraente, se uno dei discepoli, vedendolo raccolto in preghiera, gli chiede di imparare a pregare. Signore, insegnaci a pregare. E così Gesù formula il Padre nostro, che Matteo e Luca hanno raccolto in due forme diverse, più ampia quella di Matteo, più breve quella di Luca, che abbiamo appena ascoltato.
Del resto, probabilmente Gesù avrà pronunciato più volte e in diverse forme il Padre nostro lungo le strade della Palestina. Le due forme registrate da Matteo e da Luca sono diverse nella lunghezza, ma sostanzialmente uguali. Questa preghiera per noi cristiani non è l’unica, ne conosciamo tante altre, ma è quella fondamentale, è il modello delle altre. Con il Padre nostro Gesù ci dà gli ingredienti fondamentali della preghiera. La struttura del Padre nostro è suddivisa in due parti. Nella prima parte ci sono tre richieste “inutili”.
Inutili intendiamoci non nel senso che siano superflue, ma nel senso che non mirano all’utile, ma riguardano Dio. La santificazione del Suo nome, la venuta del Suo regno, il compimento della Sua volontà. La seconda parte è “utile”, cioè mira ad ottenere qualcosa per noi.
Il pane, il perdono dei peccati, con un criterio pericoloso perché noi diamo a Dio la possibilità di perdonarci come noi perdoniamo. Terzo, l’aiuto nelle tentazioni. Quarto, la liberazione dal male.
Le richieste, cioè, vanno incorniciate nella lode di cui abbiamo parlato nella seconda catechesi. Prima di domandare il pane, il perdono, la liberazione dal male, è necessario lodare la grandezza di Dio. La santificazione del Suo nome deve venire prima della richiesta di ciò che ci serve.
Gesù, quando ha pregato in prossimità della Sua passione, ha chiesto al Padre di liberarlo dal calice che stava per bere. E poi ha utilizzato una delle prime frasi del Padre nostro, però, sia fatta la tua volontà. Questa è la preghiera cristiana. La richiesta, per sé o per gli altri, si deve innestare nell’esaltazione della grandezza del Signore, nell’affidamento ai Suoi progetti. La prima parola, Padre, mette già sulla giusta lunghezza d’onda. Basterebbe solo questa parola per capire che cos’è la preghiera. Dalla prima semplice parola della preghiera che Gesù ci ha insegnato, Padre, derivano conseguenze decisive sulla natura della preghiera cristiana. Anzi, sul modo stesso di intendere la vita cristiana. Nessuno rimarrà male se mi fermo a commentare quasi solo la prima parola.
Anzi, sono certo che alla fine mi sarete grati per tralasciare le altre 56. Padre. Padre è la chiave di lettura della preghiera cristiana.
Il fatto che ogni preghiera pronunciata da Gesù nei Vangeli contenga la parola Padre, o addirittura cominci dalla parola Padre, significa che questa è la relazione fondamentale che Lui ha con Dio e che chiede a noi di avere con Dio. Distinguendo, certo, nel Vangelo di Giovanni, Gesù distingue il Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro, perché Lui è Figlio naturale, noi siamo figli adottivi, ma Dio è Padre per tutti. Dunque, la preghiera cristiana immette sempre nel clima della famiglia. Questo è importantissimo. Riprendo alcuni spunti dalle catechesi precedenti, quasi sintetizzando. Quando preghiamo, noi ci rivolgiamo ad un padre, non a un padrone, e questo significa che noi non siamo schiavi.
Noi ci rivolgiamo a un Padre e non a un negoziante, e significa che noi non siamo clienti. Noi ci rivolgiamo a un Padre, non a un giudice, significa che noi non siamo imputati. Ci rivolgiamo a un Padre e non a un ragioniere, non a un contabile, significa che noi non siamo lì per dei calcoli, per un motivo di convenienza.
La preghiera cristiana è preghiera di figli, non di schiavi, di clienti, di imputati, di contribuenti. Preghiera di figli è il clima giusto per rivolgersi al Padre, ed è il clima della fiducia, un clima di famiglia, non il clima del contratto, della pretesa, dell’esibizione dei propri meriti. La porta d’ingresso della preghiera cristiana è dunque la porta d’ingresso di casa, non è la porta d’ingresso del tribunale, del mercato, dell’ufficio imposte.
È la porta d’ingresso di casa. Quando noi cominciamo a pregare, entriamo in casa. A questo punto sorge spontanea una domanda.
Perché affaticarci a chiedere se Dio già conosce ogni nostra necessità? Mi sembra che la risposta sia questa. Chiedere serve a noi, non a Dio, perché solo quando chiediamo ci ricordiamo di essere figli. Dobbiamo confessare che tante volte la nostra preghiera, più che una richiesta di figli, è una richiesta di clienti. Una bella lista di cose da ottenere, la promessa di un pagamento e poi la pretesa che il Signore distribuisca la grazia che abbiamo commissionato. Dio non accetta questo rapporto clientelare, estraneo al clima della famiglia, vuole invece che entriamo nel clima dei figli, che presentiamo una richiesta con fiducia nella volontà del Padre. Ecco perché dobbiamo chiedere nonostante Egli sappia già tutto. La richiesta non serve a Lui quasi avesse perso la memoria, ma serve a noi, perché spesso perdiamo la memoria di essere figli. E se perdiamo questa memoria è un guaio per la nostra vita e per la nostra fede, perché sbagliamo la nostra relazione con Dio.
Allora spunta il padrone e ci sentiamo presi da terrore perché Dio potrebbe punirci. Spunta il giudice, spunta il negoziante, spunta il ragioniere, non il Padre. Per spiegare bene il Padre nostro ai discepoli Gesù inventa la parabola, che abbiamo ascoltato dal Vangelo di Luca, di un uomo da cui è andato improvvisamente un amico nel cuore della notte, a cui non ha nulla da dare e quindi rischia di venire meno al sacro dovere dell’ospitalità e oltretutto di fare una figuraccia.
E allora quest’uomo, che si è visto arrivare improvvisamente l’amico, va da un suo amico a pregarlo di prestargli tre pani. Qui le persone in gioco dunque sono tre, un ospite inatteso, bisognoso di accoglienza, un suo amico, che in quel momento non ha il cibo, e un terzo che ha quanto occorre, ma era già a letto. Nella parabola quello che possiede i pani, il terzo personaggio, è evidentemente Dio. E il personaggio che gli va a chiedere i pani è l’uomo che prega, siamo noi. Ma anche l’ospite che piomba senza preavviso nel cuore della notte, siamo noi quando abbiamo bisogno. È l’essere umano che ha necessità di qualcosa, il povero, l’affamato, il pellegrino, il deluso, il disperato. Chi è che gira nel cuore della notte e bussa a casa di un amico? Chi ha un problema grosso da risolvere. La preghiera nella parabola non è quindi richiesta solo per sé, ma anche per l’altro che ha bisogno. È preghiera di intercessione. Certo, ricevendo tre pani, colui che li ha chiesti risolve anche un problema personale, perché fa bella figura, si mette in grado di accogliere degnamente l’ospite.
Ma risolve soprattutto il problema dell’ospite, perché lo sfama. Gesù indica dunque che il Padre nostro, che aveva appena regalato ai discepoli, non è una preghiera solamente per sé stessi, ma è una preghiera di intercessione, una preghiera anche per l’altro. E fa capire che quando si prega per l’altro, ottenendo un pane per lui, si prega anche per sé, perché anche l’amico che ospita va a casa con un pane in più.
In che senso dunque questa parabola ci aiuta a capire il Padre nostro? Nel senso che il Padre nostro è al plurale. Nel Padre nostro gli attori sono tre, come nella parabola, non sono due. C’è il Padre, a cui rivolgiamo la preghiera, poi ci siamo noi che preghiamo, e ci sono tutti gli altri esseri umani attorno a noi, a nome dei quali anche noi preghiamo. Chi prega non dice dammi oggi il mio panino quotidiano e perdona il mio peccato. Parla anche a nome dei fratelli, parla al plurale, dacci oggi il nostro pane quotidiano, perdona i nostri peccati. Non abbandonarci alla tentazione. Anche se prega uno solo, prega sempre a nome di un popolo, a nome di tutti gli esseri umani. La preghiera più alta per Gesù non ha mai solo due attori, tra me e Dio, ma sempre tre. Tra me, il resto dell’umanità, per cui sto chiedendo, e Dio.
La preghiera cristiana dunque non è solo una relazione verticale con la divinità, ma è anche una relazione orizzontale con gli altri esseri umani. È un gesto d’amore e di giustizia verso i fratelli, bisognosi di pane, di perdono, di protezione, di liberazione dal male. Quando un uomo, un giorno, chiese a Gesù qual era per lui il comandamento più grande, Gesù non esitò a rispondere che era l’amore, e poi, per illustrarlo, lo scompose in due.
Ama Dio e ama il prossimo. Per Gesù questi due comandamenti non vanno mai ciascuno per conto proprio. Sembra che non riesca a dirne uno senza dire anche l’altro, perché chi ama davvero Dio ama il prossimo, e chi ama il prossimo ammette almeno implicitamente che il prossimo ha una dignità più grande, che non gli viene dagli altri, ma gli viene dall’alto.
Il Padre Nostro, nelle due parti di cui è formato, in un certo senso declina l’amore nelle due direzioni di Dio e del prossimo in forma di preghiera. Le richieste della prima parte sono un atto d’amore verso il Padre. È come se ciascuno di noi dicesse, ti voglio così bene che i tuoi desideri, i tuoi sogni, la santificazione del tuo nome, la venuta del tuo regno, sono anche i miei desideri, anche i miei sogni.
Io, essere umano, non so bene cosa significa che “sia santificato il tuo nome”, ma sono certo che questo dà gloria a Te. E la gratuità di questa prima parte, la “inutilità” di questa prima parte, è preziosissima, perché ci fa capire che prima di chiedere per noi dobbiamo chiedere per Dio, entrare nel cuore di Dio, glorificare gratuitamente Dio. E le richieste della seconda parte illustrano il secondo comandamento, ama il prossimo tuo come te stesso.
Per questo chiediamo a Dio cose molto concrete per noi, quali sono il pane, il perdono, la protezione dal male. Ma siccome siamo figli e non schiavi, Padre non padrone, quando preghiamo ci impegniamo noi stessi a fare quello che chiediamo. Ecco l’importanza della preghiera come ingresso in una casa.
Mentre gli schiavi abitavano in un alloggio a parte, i figli abitavano in casa con il padre. Se siamo figli, siamo nella stessa casa del Padre, condividiamo la responsabilità dei suoi beni. Figlio, tutto ciò che è mio è tuo, disse il Padre al figlio maggiore della parabola. Cioè ci sentiamo sulla stessa barca, non possiamo aspettarci tutto dall’alto con le mani in mano. Quando preghiamo siamo nella stessa famiglia e dunque quello che chiediamo dobbiamo impegnarci noi stessi a realizzarlo. La nostra dignità di figli si esprime nel dare una mano in casa, secondo le nostre possibilità, non nello stare a guardare che cosa fa il Padre per noi. La preghiera cristiana non è una delega a Dio perché faccia tutto lui, come se noi fossimo spettatori esterni. È invece la disponibilità a collaborare con lui, a prenderci la nostra responsabilità in casa. Noi dunque non possiamo chiedere efficacemente al Padre di sfamare gli uomini col pane quotidiano, se noi stessi che avremmo pane in abbondanza per tutti rifiutiamo di dividerlo equamente. Dacci il nostro pane quotidiano, questo pane non arriva neanche a me se non lo condivido. Noi non possiamo chiedere credibilmente che venga il suo regno se ci limitiamo a guardare in aria in attesa del ritorno del Signore e non ci diamo da fare per migliorare il mondo. Noi non possiamo dire a Dio di perdonare i nostri peccati se non siamo disponibili a perdonare chi ci ha offeso. Ecco perché proprio su questo punto dolente Gesù esplicita la condizione. Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. La preghiera non è uno scaricarsi perché Dio faccia tutto, è un rimboccarsi le maniche per collaborare con Dio efficacemente.
Anche facendo fatica. Ci sono dunque richieste inefficaci perché sono dettate dalla comoda ed egoistica delega a Dio. Quasi non fossimo figli ma facessimo parte di un’altra famiglia o fossimo spettatori estranei che attendono una magia.
Senza l’impegno a condividere, la preghiera può essere intensa quanto si vuole, ma non si alza un metro da terra perché non è preghiera di figli e di fratelli ma di un singolo che pensa solo a se stesso. La preghiera condita con l’amore fraterno invece è efficace. L’intercessione entra nel cuore del Padre che ci concede sempre i tre pani purché li chiediamo per condividerli.
* arcivescovo
Lunedì 10 febbraio quarto e ultimo appuntamento del percorso “Credi tu questo?”
Credi tu questo?: L’INTERCESSIONE “Chiedete e vi sarà dato”.
Il Vescovo Erio ci ha aiutato a riflettere sulle dimensioni fondamentali della preghiera, a partire dalla Parola di Dio e sullo stile della lectio divina. L’approfondimento è fissato per lunedì 24 febbraio, a cura dell’ Ufficio Catechistico e dell’Apostolato Biblico presso la parrocchia della Sacra Famiglia a Modena.
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Meditazione di Mons. Castellucci –>
Lunedì 10 febbraio saremo guidati dal Vescovo Erio nel quarto e ultimo appuntamento del percorso interdiocesano di formazione pastorale di base “Credi tu questo?”, giunto alla sua quarta e ultima edizione, con il titolo per l’anno 2024-2025: “Maestro insegnaci a pregare. I colori della preghiera”.
Rifletteremo su “L’intercessione”, e il Vescovo ci guiderà in una vera e propria esperienza di preghiera a partire dalla Parola di Dio e sullo stile della lectio divina.
Sarà possibile a tutti seguire online le meditazioni sul canale YouTube dell’Arcidiocesi di Modena-Nonantola alle ore 21, e sull’home page del sito della Diocesi di Carpi.
Tuttavia, nulla vieta che i partecipanti si ritrovino in altri momenti per facilitare la partecipazione e l’incontro.
L’invito è dunque quello di ritrovarsi nelle proprie parrocchie o nei gruppi del Vangelo delle case, tra amici o in famiglia, o anche da soli, in un contesto che faciliti l’ascolto e la concentrazione, per vivere questo momento come un’esperienza di comunione che abbraccia le due Chiese di Modena-Nonantola e di Carpi incamminate verso l’unificazione, all’inizio del Giubileo.
Inoltre, vi ricordiamo che l’approfondimento è fissato per lunedì 24 febbraio, a cura dell’ Ufficio Catechistico e dell’Apostolato Biblico presso la parrocchia della Sacra Famiglia a Modena.