Messaggio Pasquale dell’Arcivescovo di Modena-Nonantola e Vescovo di Carpi Erio Castellucci

Marc Chagall, Crocifissione bianca, 1938. Olio su tela. Istituto d’arte di Chicago

Fin da bambino aveva sperimentato la persecuzione contro il suo popolo, scatenata dallo zar Alessandro III che voleva ridurre il numero degli ebrei nell’impero russo: il livore antisemita ne costrinse molti a fuggire all’estero. Lui stesso, nato nel 1887, a 23 anni, si trasferì a Parigi ed entrò nel mondo degli artisti, in quella che allora era la capitale europea della cultura. Dopo una lunga permanenza a San Pietroburgo e Mosca, tornò in Francia, ma dovette poi emigrare poi nel 1941 negli Stati Uniti, per sfuggire alla violenza persecuzione antiebraica scatenata in Europa da Hitler. Potrà stabilirsi definitivamente in Francia solo dopo la fine della seconda guerra mondiale. Marc Chagall, pittore bielorusso di origine ebraica, dipinse la Crocifissione Bianca nel 1938, quando l’intolleranza verso “i giudei” stava infiammando il continente europeo: in Unione Sovietica Stalin, negli anni ’30, aveva ordinato dure persecuzioni contro gli ebrei; e il resto del continente stava raggiungendo quelle forme violente che porteranno i nazisti a programmare lo sterminio degli ebrei.

Questa tela di Chagall, per il suo soggetto provocatorio, scatenò subito molte polemiche: Gesù in croce, vestito con il tallit – scialle usato dagli ebrei per la preghiera – e attorniato da simboli e riferimenti alla persecuzione antiebraica: figure di persecutori, donne in pianto, profughi ebrei che fuggono a piedi e in barca, case rovesciate in fiamme, gente che allarga le braccia per la disperazione. Questa drammatica giostra, imperniata sul crocifisso, sembrava troppo a qualcuno, sia tra gli ebrei sia tra i cristiani.

Eppure Chagall, utilizzando il linguaggio sfidante degli artisti, lanciava un chiaro messaggio di pace: Cristo crocifisso per lui non era quel muro che, agli occhi di molti, divideva il mondo cristiano da quello ebraico; ma diventava quel ponte che univa i due mondi, quasi un concentrato della sofferenza ingiusta, assurda e cieca che gli ebrei, insieme a molti altri, stavano subendo ad opera dei persecutori e dei carnefici. Nella sua figura e vicenda personale, Chagall incrocia diverse culture: ebraica, russa, europea occidentale, americana.

A me sembra che da quest’opera, molto amata da papa Francesco, provenga una luce particolare. Quel fascio bianco, scintillante, che investe Gesù in croce, è un solco di speranza acceso nel nostro cuore. Per noi cristiani è il simbolo della risurrezione, che rischiara il buio della morte; per tutti gli esseri umani è spia del bene che vince sul male. A patto di gettare una scala verso la luce: la scala che Chagall dipinge e quasi appoggia al fianco sinistro di Gesù.

Come per dirci che con le nostre sole forze siamo incapaci di raggiungere la luce; abbiamo bisogno di implorarla e riceverla. In questa Pasqua la guerra coinvolge con particolare violenza i mondi che segnano le origini di Chagall, ebraico e russo. Ciascuno di noi, singoli e comunità, ha in dotazione la scala per accedere alla luce: se non la riporremo nella cantina dell’indifferenza, sarà una “buona Pasqua”.

+ Erio Castellucci

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