Omelia di Mons. Cavina per la Giornata del malato

Domenica 11 febbraio in Cattedrale

 “Ci viene presentato un uomo affetto da una malattia che in passato era considerata incurabile, per questo i lebbrosi erano emarginati e costretti a vivere nella solitudine più totale – ha affermato monsignor Cavina -. Un uomo simile viene a Gesù e compie un gesto che è entrato nella celebrazione dell’Eucaristia ed è diventato per noi atto di fede: si inginocchia davanti a lui perché in lui riconosce la presenza stessa di Dio. E la sua preghiera diventa una supplica: ‘se vuoi, puoi purificarmi’. Il lebbroso non dice ‘puoi guarirmi’ perché nel mondo antico la lebbra era considerata un male strettamente collegato all’aspetto spirituale dell’uomo, e dunque al peccato”. La risposta di Gesù è la compassione, “l’atteggiamento di chi si sente profondamente toccato dalla sofferenza dell’altro. Questa compassione di Gesù è quella di Dio, che non è insensibile di fronte alle nostre sofferenze, alle nostre tribolazioni, ai drammi dell’umanità, anzi ne è partecipe fi no al punto di commuoversi e di venire in soccorso a noi donando il suo stesso figlio”. Al gesto dell’inginocchiarsi del lebbroso corrisponde allora il gesto di Gesù che stende la mano e tocca il malato, perché, ha sottolineato il Vescovo, “Dio tocca la nostra vita, raggiunge la nostra esistenza personale, fa rinascere in noi la speranza, ci dona consolazione, gioia e rinnovato vigore per affrontare le prove del nostro cammino”. E così, attraverso questi gesti, Gesù compie il miracolo, gesti di guarigione che, ha osservato monsignor Cavina, “oggi raggiungono la nostra vita attraverso i sacramenti con cui il Signore ci risana dai nostri mali spirituali e ci manifesta ancora la sua bontà e la sua misericordia. Noi siamo più fortunati del lebbroso del Vangelo perché attraverso l’Eucaristia il Signore non solo ci tocca e si rende realmente presente in mezzo a noi ma si fa addirittura nostro cibo. Abbiamo così la possibilità, uscendo da questa chiesa, qualunque sia la nostra situazione di sofferenza, di angoscia, di disperazione, di tornare alle nostre case arricchiti della vita stessa di Dio. Insomma, torniamo a casa certi della compagnia di Gesù. Diceva infatti Papa Benedetto XVI che un cristiano non è mai solo nella vita”. Ma possiamo godere, ha aggiunto monsignor Cavina, “anche della presenza della Vergine Santissima, che quale madre   si preoccupa del bene spirituale e materiale dei suoi fi gli, come ci ricorda il tema della Giornata del malato di quest’anno, ‘Ecco tuo fi glio… Ecco tua madre’”. Da qui l’invito del Vescovo a pregare ripetendo le parole del Salmo responsoriale: “Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall’angoscia”. “Il Signore è davvero il nostro rifugio, ha compassione di noi, e possiamo rivolgerci a lui con confidenza e fiducia come ha fatto il lebbroso. Il Signore ci libera veramente dall’angoscia perché lui solo ci può permettere di vivere una vita degna di essere vissuta. Chi vive nell’angoscia non ha prospettive, è triste e non ha futuro… chi dà futuro è solo Gesù, il quale è venuto, come dice lui stesso nel Vangelo, affinché noi tutti, indistintamente, abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza. Una vita vera, che inizia già su questa terra e troverà la sua piena realizzazione nel Regno dei cieli – ha concluso monsignor Cavina -, là dove il Signore ci attende per manifestarci la bellezza del suo volto, dove finalmente terminerà ogni tristezza, ogni lacrima, ogni dolore, e vivremo per sempre nell’amicizia con lui”.