Omelia di mons. Ermenegildo Manicardi nel Venerdì Santo

LITURGIA DELLA PASSIONE DEL SIGNORE - Cattedrale di Carpi – 10 aprile 2020

Diretta televisiva Tvqui

Il mistero dell’incarnazione ha portato il Figlio eterno di Dio a confrontarsi con la morte lungo tutto l’arco della sua vita terrena.

1.   La morte una prospettiva che attraversa tutta la vita di Gesù

Già a poche settimane di vita fu minacciato dalla “strage degli innocenti”, il provvedimento mortale con cui Erode voleva uccidere il neonato Re dei Giudei. Allora fu salvato da Giuseppe, che, informato dall’angelo, con coraggio decise di emigrare in Egitto, anche allora «di notte» (Mt 2,19-23).

Da adulto giovane si trovò davanti alla tomba dell’amico Lazzaro, quando la commozione lo scosse e lo portò alle lacrime (Gv 11).

Durante il suo ministero terreno si era impegnato a insegnare ripetutamente ai suoi discepoli che: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno» (Mc 9,31). Ormai alle porte della città santa, aveva predetto dettagliatamente ai suoi discepoli: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà» (Mc 10,33s).

Nel silenzio, nella meditazione e nella preghiera aveva intuito la legge del chicco di grano e l’aveva applicata al mistero della morte e al suo imminente futuro personale. Nella notte della lavanda dei piedi, aveva annunciato solennemente : «In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24).

2.   Gesù e la morte nel momento del suo morire

I racconti evangelici della passione ci dicono, con altrettanta chiarezza, la dialettica estrema in cui Gesù si è rapportato alla morte nel momento del suo stesso morire. Fu l’intreccio, terribile e magnifico, di un amore obbediente al Padre nella prospettiva di ottenere il perdono per tutti gli uomini e il ribrezzo personale di perdere la propria vita terrena. Com’era duro doversi spogliare del corpo di carne, che lo Spirito Santo aveva formato nel grembo verginale di Maria.

Al Getsemani, quando Gesù prega gridando, di nuovo si incontra l’intreccio di preghiera sofferta, ma fiduciosa e d’obbedienza radicale. Ecco allora l’invocazione «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice!». Ed ecco anche, subito dopo, il secondo elemento, dissonante e complementare: «Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36).

Nel momento della morte ritorna la stessa tensione dialettica, espressa se possibile in maniera ancora più acuta dopo sei ore della tortura sulla croce iniziata alle nove del mattino: «Alle tre, Gesù gridò a gran voce: “Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”» (Mc 15,34). In questa preghiera, che Gesù pronuncia sostenuto dalll’inizio del Salmo 22/23, c’è tutta la fede nella sua perfezione – «Dio mio, Dio mio» – ma anche tutto il dolore che Dio lo lasci in questa solitudine atroce: «Perché mi hai abbandonato?».

La tenebra, che da tre ore era scesa su tutta la terra, ha mostrato a Gesù che Dio era presente con tutta la sua forza ed era sensibile allo straziante dolore del Figlio. Il Padre, però non faceva quello che Gesù avrebbe tanto desiderato: non lo staccava dalla croce, non dava spiegazioni e nemmeno lo sottraeva all’oscura solitudine del morire.

3.   Il morire di Gesù e il morire disseminato dal Covid-19

In questi giorni – che noi, almeno per l’Italia, definiamo il plateau del Coronavirus – il racconto evangelico della passione del Signore ci può dare conforto e aiuto. Non siamo gli unici a soffrire perché vediamo una tenebra e non abbiamo nessuna spiegazione. Anche Gesù ha vissuto il mistero inspiegabile dell’oscurità della morte. Il figlio di Maria non è stato semplicemente un essere divino, solo apparentemente o fintamente uomo, ma è stato una persona concreta e vera. Un uomo pieno di vita, di sentimenti, di sangue. Ha dovuto dunque soffrire molto: prima a causa dell’idea della morte e poi di fronte alla sua stessa morte.

Con la croce, però, ci ha confermato con chiarezza che la morte non è non è l’ultima parola della vita, bensì il passaggio per «la porta stretta» (Mt 7,13s). La morte è certamente la porta più stretta di tutte, ma è al tempo stesso l’angusta fessura che ci conduce alla pienezza del Regno di Dio e, come suggerisce Gesù ai discepoli di Emmaus «l’ingresso nella nostra gloria» (Lc 24,26). La devozione latina ha creato un logo espressivo di tutto questo: «per crucem ad lucem», attraverso il buio della croce si va verso la luce. Molti di noi hanno parlato, in questi giorni, di un tunnel. La pandemia è un tunnel buio: quando vedremo la piccola luce dell’uscita?

Senza disperare, ma mantenendoci fedeli e seri nell’impiegare tutte le prudenze necessarie, aspettiamo con fiducia, insieme a tanta parte dell’umanità, l’uscita finale dal tunnel. Camminiamo insieme verso di essa e legittimamente chiediamo che sia raggiunta al più presto. Non dimentichiamo, come credenti o come gente di speranza, che il buio di questo “Venerdì Santo al tempo del Coronavirus” è davvero solo un passaggio: rischioso, pesante e odioso, ma solo un passaggio. Molto presto saremo tutti insieme nella luce tornata e, dopo l’attività ridotta di questi giorni, ci sarà molto da fare. E ci vorrà molta inventiva, anzi una rinnovata energia ricreatrice.

Davanti a Gesù crocifisso, entriamo oggi nel buio della morte di Gesù, attraverso il nostro attuale dolore e attraverso quell’oscura paura che correttamente viviamo. In questa tenebra, che vogliamo condividere con lui, il Signore, mettiamoci disponibili per ricevere la risurrezione, che il Padre ci darà per farci restare sempre insieme con Lui.