Sorelle e fratelli carissimi,
siamo nella più bella delle veglie cristiane, siamo al cuore della vita del discepolo di Cristo. Il preconio pasquale ha proclamato, insieme la risurrezione di Cristo e tutta la nostra gioia. Abbiamo cominciato questa celebrazione mentre la nostra cattedrale era avvolta tutta nel buio. Mentre, però, verso l’altare avanzava il cero pasquale acceso, simbolo del Signore risorto, e mentre via via ascoltavamo le letture, sempre più l’atmosfera si schiariva e al canto del Gloria è tornata la luce nella sua pienezza e la nostra cattedrale ora risplende. Non ci sono più angoli oscuri.
O notte veramente gloriosa, che ricongiunge la terra al cielo e l’uomo al suo creatore.
Esulti il coro egli angeli, esulti l’assemblea celeste; gioisca la terra inondata da così grande splendore!
La luce del Re eterno ha vinto le tenebre del mondo: un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto.
Anche la notte pasquale del 2020 è una notte veramente gloriosa. La luce di Cristo risorto sta schiarendo il livido colore di tante nostre giornate malate: Attenua le nostra attuali paure, e ci invita ad aprire il cuore alla speranza e a una nuova vita, sfoderando il nostro coraggio e mostrando una resistenza da veri cristiani.
1. Davvero «Quest’anno Cristo risorge nelle chiese vuote»?
Stamattina ho sentito un giornalista affermare con decisione: «Quest’anno Cristo risorge nelle chiese vuote»: mi è sembrato supponesse di aver individuato così lo specifico della celebrazione, che stiamo vivendo insieme in questo momento.
Visivamente è vero: anche la nostra Cattedrale è vuota stanotte. Mi permetto di accennare a un’esperienza personale di questi giorni: ho vissuto per venticinque anni a Roma, a venti minuti a piedi da piazza San Pietro e dalla Basilica vaticana. Lì ho avuto il dono grande di concelebrare, decine e decine di volte, con quattro diversi papi, a partire da San Paolo VI, anche in occasioni solennissime. In quest’ultima settimana, però, seguendo da casa la preghiera di Papa Francesco nella piazza di San Pietro e nella Basilica vuote, non mi sono sentito privato di nulla. Percepivo la vibrazione dei milioni di uomini che nel mondo seguivano questa preghiera solitaria”. Li intravedevo strettamene uniti al Papa e, conseguentemente, anche a me. Non è sembrato anche a voi, che la piazza materialmente vuota, era ricca di innumerevoli cuori uniti nell’ascolto, nel silenzio, nell’affetto e preghiera? La commozione di quei momenti non era solo l’effetto di un insolito vuoto visivo.
Anche la nostra cattedrale questa sera è piena delle vostre preghiere e delle vostre emozioni: anche se siete in casa, non siete lontani. Quando il Signore ci ha fatto il dono di potere riaprire il duomo, dopo il terremoto, non ce l’ha donato perché stanotte fosse percepito vuoto. Le sue colonne e le sue mura stanno intorno a me fisicamente, ma intorno all’altare – quasi fossero piccole cappelle laterali – ci sono tute le vostre case. Non ne manca nessuna. Uniti così nella Veglia, ci ricordiamo e sentiamo bene che, dopo la prova, il Signore ci lascerà ricostruire e ci riempirà di una gioia non minore. Diventerà vera, anche per noi, la promessa del Salmista: «Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia. Nell’andare, se ne va piangendo, perché porta la semente da rischiare, ma nel tornare, viene con gioia, perché è carico dei suoi covoni» (Sal 126/127,5s).
Il seguire da casa non è necessariamente una forma più povera di quella che si realizza con la presenza fisica in cattedrale. Ormai siamo dei raffinati specialisti del distanziamento sociale e della comunicazione a remoto. In questo senso, dire che la nostra Cattedrale è vuota stasera, non sarebbe la verità completa. E se molti siamo col cuore qui, allora – anche se separati in diverse case – siamo davvero vicini, siamo davvero i fratelli nella casa del loro Padre. Cristo stanotte non risorge nel vuoto. Come sempre, egli risorge in noi, nei nostri cuori: se siamo sinceri e generosi, i nostri spiriti si stanno stringendo davvero in una comunione commovente, anche se non vogliamo offrire l’assembramento dei nostri corpi come comoda esca allo spietato comid.
2. Le donne: un passo avanti dalla seconda fila
In questi giorni abbiamo capito molto bene che nella vita quasi tutto dipende dal tessuto delle relazioni. Tanto nei pericoli quanto nel sostegno, siamo affidai al rapporto con gli altri. In queste strane giornate, abbiamo fatto l’esperienza di quanto ci manchino le persone legate a noi, che ci sono fisicamente lontane perché il lockdown le tiene in quarantena. Al tempo stesso, però, stiamo facendo per fortuna anche l’esperienza irrobustente del tessuto forte della nostra comunità umana. Ci sono tanti che si spendono per noi. Ci sono tanti medici, infermieri, sanitari, volontari, forze dell’ordine, docenti, preti, suore, molte figure istituzionali, i lavoratori in attività essenziali, gli operatori della comunicazione, che si sono attivati per sostenerci. Le persone che ho potuto elencare – e molte altre – ci sono, si sono mosse, ci prendendo sul serio, ci sostengono e, per aiutarci sono disposte al pericolo.
Anche Gesù nella sua morte fece l’esperienza della complessità della rete di relazioni, che lo avevano fino ad allora sostenuto, e non solo materialmente. La rete principale – quella dei dodici apostoli e dei discepoli – nella passione, subì qualche drammatica smagliatura: il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro, la fuga dei più vicini. Ma all’avvicinarsi della crocifissione, emerse per lui una seconda rete, che fino ad allora era sembrata meno importante: parlo della cerchia delle donne. Questo gruppo, prima, era rimasto piuttosto in ombra, spesso in secondo piano e, forse, sottovalutato. Alla morte, alla sepoltura e al sepolcro vuoto, però, c’è un colpo di scena e uno scambio di parti. Subito dopo la morte di Gesù, l’Evangelista Marco ci sorprende dicendo: «Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme» (Mc 540s). La sorpresa di queste presenze, prima non notate, si ripeterà al momento della sepoltura. Nella visita alla tomba, poi, «il primo giorno dopo il sabato», l’importanza decisiva della loro presenza apparve in tutta la sua portata. Furono le donne, infatti, a scoprire che il sepolcro era vuoto; e furono loro a portare ai discepoli maschi il primo annuncio: «è stato risvegliato» da Dio (Mc 16,7). Giustamente molti Padri della Chiesa hanno definito la più importante di queste donne, Maria Maddalena, «apostola degli apostoli». È grazie alle donne che il cammino dei discepoli ha potuto rimettersi in moto. È Maddalena che fa correre Pietro e il discepolo amato al sepolcro. È da loro che è partito l’annunci della risurrezione e ha preso avvio la nostra Chiesa.
Nella prova durissima della pandemia stiamo scoprendo che – accanto alle amicizie a portata di mano e a contatto diretto col nostro cuore – la nostra vita è sostenuta da una serie di relazione solo superficialmente più lontane. Oggi ci siamo accorti di quanto queste presenze “di sfondo” siano generose e decisive. Abbiamo scoperto che proprio possono sostenere e anche salvare la nostra vita. È un insegnamento importante, che potrebbe diventare decisivo nello stile post-corona-virus. C’è davvero una schiera di “santi della porta accanto” (Papa Francesco). Un vertice di questa santità quotidiana ci è stato donato, per Carpi e alla Chiesa, nel Beato Odoardo Focherini. Più in piccolo forse, ma in fondo nella stessa linea, abbiamo potuto vedere che ci sono davvero, anche nel nostro oggi e nel nostro territorio, uomini e donne che continuano a saper rischiare per gli altri. C’è una “seconda fila”, la cui importanza noi spesso trascuriamo, ma che nella difficoltà si è fatta onorevolmente avanti: ha occupato coraggiosamente il fronte della lotta e i primi posti nel combattimento.
3. Gesù risorge nel suo corpo, ma non meno nella vita dei suoi discepoli
Sarebbe riduttivo pensare che la risurrezione di Gesù è semplicemente qualcosa che accade nel corpo di Gesù. Certo Gesù risorge corporalmente per sedere per sempre alla destra di Dio, nel cielo, con la carne trasfigurata, ma che è sempre la carne assunta dal grembo verginale di Maria.
Accanto a questa risurrezione personale, ce n’è una seconda, non meno concreta e vera. Gesù risorge non solo per esser vivo lui, ma anche per trasmetter la sua vita nuova ai discepoli. È per questo che la Chiesa, già dall’Apostolo Paolo, fu giustamente chiamata «il Corpo di Cristo».
Mi permetto una domanda: perché il Signore risorto non ha aspettato le donne e i discepoli presso il sepolcro, prima di salire al cielo, ma ha semplicemente comunicato loro che li stava precedendo in Galilea? Sarebbe stata una scena da “selfie”: Gesù splendente di vita nuova, l’oscura pietra enorme ribaltata, i discepoli e le donne rinnovati dalla gioia.
Ma che Gesù non fosse la mattina di Pasqua accanto al sepolcro è un dato decisivo della teologia di San Matteo (il vangelo che abbiamo letto stanotte) e, forse ancor più, di San Marco. Risorgendo Gesù non sta ad aspettare i discepoli per una foto finale di gruppo. Invece, egli si mette a precedere i discepoli, a una certa distanza, perché se lo vogliono, possano ricominciare a seguirlo, loro che lo avevano abbandonato ed erano fuggiti lontano. Fuggendo avevano smesso di andare dietro di lui e il loro essere suoi discepoli era finito miseramente.
Perciò, risorgendo dai morti, Gesù non ha solo trasformato il suo corpo per renderlo glorioso, ma ha creato per i discepoli – ossia per ciascuno di noi – la possibilità di riprendere il cammino con lui, dietro di lui, daccapo, ossia dalla Galilea dove tutto aveva avuto inizio. Per questo nel vangelo letto stanotte l’idea che Gesù «precede» non è detta soltanto dall’angelo, che spalanca la tomba rovesciando la pietra, ma da Gesù stesso che si mostra alle donne, quando già si sono già messe in cammino dietro di lui:
«Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: “Salute a voi”. Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: “Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno”» (Mt 28,9s).
Dalla Veglia pasquale del 2020 non portiamo via solo l’annuncio «è risorto». Stanotte e per i prossimi giorni, ci farà molto bene integrare la frase: «Gesù è risorto e perciò ci precede».
Non abbiamo solo bisogno di uscire dal lockdown della pandemia e dal sepolcro delle nostre paure. Trovato lo spiraglio di luce in fondo al tunnel, entrati finalmente nella fase 2, procediamo ricordando il vangelo: camminiamo lontano dal virus, ma anche dietro al Signore risorto.
L’augurio, che mi sento in dovere di fare, è necessariamente duplice: uscire prestissimo dal tunnel e camminare con più chiarezza dietro colui che ci ha preceduti nella tomba e che sta davanti a noi perché i nostri passi non si impigriscano e la nostra esistenza riceva la luce divinizzante del Vangelo.
Gesù è l’unica guida veramente esperta – senza irriverenza possiamo dire: “lo specialista”! – per chi desidera uscire definitivamente da qualche tomba.
Noi lo crediamo con forza: davvero il Signore è risorto – Amen, alleluia.