Cattedrale di Carpi

Omelia nella Messa in Coena Domini

Sorelle e fratelli carissimi,

è il secondo Giovedì santo che celebriamo nel tempo del Corona virus. Lo scorso anno eravamo ancora in lock down stretto e abbiamo celebrato allora nella nostra cattedrale vuota, ma ben collegata nella preghiera comune a tante delle nostre case. Oggi siamo molti qui in Chiesa, pur nei distanziamenti e nelle attenzioni per evitare gli assembramenti. Vogliamo però pregare anche assieme ai molti che non possono raggiungere fisicamente gli spazi della preghiera, come noi qui in Cattedrale. Li sentiamo vicini; pensiamo soprattutto a quelli di loro che sono malati con sintomi, gravi o leggeri, o anche soltanto positivi asintomatici.

1.   La Cena del Signore: un’ultima cena con gli amici

L’eucaristia di questa sera, così commovente, vuole rivivere l’ultima cena con gli amici, voluta da Gesù per salutare i suoi discepoli prima della sua partenza. La Messa nella Cena del Signore, oltre al nome latino Coena Domini, nella lingua italiana ha assunto due nomi portatori di una sfumatura decisamente diversa. C’è il termine Cena pasquale, ma più spesso si parla di Ultima cena. L’affresco stupendo di Leonardo da Vinci al Convento domenicano delle Grazie, a Milano, si chiama appunto L’ultima cena. Qual è il nome più giusto?

Alcuni amano il nome Cena pasquale perché l’espressione si collega alla tradizione di Israele e dell’esodo; alcuni perciò amano celebrare la cena pasquale ebraica, il seder pasquale. Personalmente preferisco, invece, il termine Ultima cena, perché la cena fu voluta da Gesù come la sua ultima. Era vicina la Pasqua dei Giudei e, quindi, Gesù ha celebrato forse quella sera anche la sua cena pasquale di quell’anno, che avveniva nell’imminenza della sua morte. Il motivo principale che lo portò a organizzare quell’incontro, però, non fu una scadenza del calendario ebraico, ma il desiderio di salutare i suoi amici prima della sua imminente partenza. Nel corso della cena egli annunciò che era l’ultima volta che sulla terra avrebbe bevuto vino, ma che già pensava a quando l’avrebbe bevuto nuovo con loro – i suoi amici – nel futuro regno di Dio.

Per noi è importante celebrare sempre la Santa Messa sapendo che Gesù l’ha voluta come cena e cena di festa per i suoi amici, per esser loro veramente vicino anche quando sarebbe stato nella gloria «seduto presso il Padre».

L’ultima cena e le Eucaristie delle comunità cristiane sono momenti di vicinanza e di amicizia di Gesù con noi, suoi amici. La comunità dei giovani di Carpi – e non solo giovani – è stata provocata in questi mesi dalla partenza di Enrico e, in queste ultime ore, molti stanno pregando con e per Emmanuele per chiedere al Signore che gli sia restituita la salute. Sentiamo Gesù vicino: lui non è certo meno sensibile di noi alla sorte dei suoi amici. I nostri amici oltre che nostri, sono gli amici di Gesù: li ama sempre e non li dimentica mai.

2.   L’amicizia dell’ultima cena

Ma di quale tipo fu l’amicizia di Gesù per i suoi nell’ultima cena? Vale proprio la pena si riflettervi con attenzione.

  • Anzitutto l’amicizia di Gesù per i suoi nell’ultima cena un’amicizia che non esclude nessuno. Quella sera a tavola con Gesù c’erano proprio tutti. Cera Giuda il traditore, c’era Pietro che credeva di amarlo fino alla morte e che invece, poche ore dopo lo rinnegò tre volte. Ma anche gli altri prima dell’alba, fuggirono tutti. La Messa ci offre l’amicizia di Gesù, ma ci chiede anche di essere amici di tutti quelli che Gesù considera suoi amici e lui … non fa esclusioni.

 

  • Il vangelo di questa sera racconta poi come la bilancia su cui si misura l’amicizia è il servizio concreto. «Gesù, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. Durante la cena, … si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto» (Gv 13,1-5). L’amicizia non è soltanto un sentimento tenero e, per così dire, romantico, ma è un piegarsi a compiere i servizi di cui gli altri hanno bisogno e da cui ricavano benessere e vantaggio.

 

  • Gesù si mise a compiere un sevizio umile, ma tonificante. A quell’epoca la lavanda dei piedi era considerato un gesto di umiltà per chi lo compiva; era riservato esclusivamente agli schiavi e alle donne di casa: «Una vedova sia iscritta nel catalogo delle vedove quando abbia non meno di sessant’anni, sia moglie di un solo uomo, sia conosciuta per le sue opere buone: abbia cioè allevato figli, praticato l’ospitalità, lavato i piedi ai santi, sia venuta in soccorso agli afflitti, abbia esercitato ogni opera di bene» (1Tm 5,9s). Nessun uomo libero avrebbe affrontato un tale gesto, neanche per un amico. Invece l’amicizia vera e concreta ci chiede, di continuo, di uscire dai nostri pregiudizi e di assumere atteggiamenti spregiudicati.

 

  • C’è poi un ulteriore significato aggiunto dalle parole di Gesù al suo gesto: «anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri». L’amicizia ha bisogno di reciprocità. Questa sera a causa della pandemia non abbiamo potuto compiere il gesto liturgico della lavanda dei piedi. Volentieri avrei lavato simbolicamente i piedi a un gruppo di voi. Ma vorrei confessarvi una correzione che, se ne avessi l’autorità, apporterei al rito. Penso che sarebbe significativo che il celebrante, una volta finito il giro della lavanda dei piedi degli altri, si sedesse e che qualcuno lavasse i suoi piedi … L’amicizia prevede non solo il mio dono agli altri, ma anche che io anche accetti di ricevere il dono di altri. L’amicizia è veramente forte non solo se sa fare le cose che davvero servono altri, ma se sa accettare di avere bisogno degli altri e si lascia servire con semplicità.

 

  • L’amicizia di Gesù nella notte dell’ultima cena raggiunse il vertice con il dono del corpo: «questo è il mio corpo dato per voi». L’amicizia che l’Eucaristia vuole insegnarci è quella di prendere nelle nostre mani il nostro corpo – ossia tutto quello che siamo e che abbiamo – per metterlo al servizio degli altri. Alla Messa di Gesù dobbiamo imparare che il nostro corpo non é solo il dono più grande fatto da Dio a noi stessi, ma è un valore messo a disposizione anche per gli altri. Come ha insegnato San Paolo con forza: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). Il nostro corpo è per il Signore ma anche per gli amici e i fratelli.

3.   Tre parole per vivere il Triduo pasquale

Un’amica mi ha scritto ieri chiedendomi tre parole per vivere il Triduo pasquale. Ciò pensato un bel po’; ero anche tentato di non rispondere. In extremis tre ore fa le ho scritto e adesso mi permetto di ripeterle anche a voi questi tre punti.

  • Parola per il Giovedì/Venerdì — Amore senza smagliatura anche dove manchi la riconoscenza
  • Parola per il Venerdì/Sabato — Amore che non si lascia distrarre dalla fatica e dal dolore
  • Parola per il Sabato/Domenica — Amore che si mantiene anche quando si deve tacere e le spiegazioni non si possono dare.

L’amica mi ha già scritto che le tre piste sono difficili, ma partecipare alla Messa, rivivere l’Ultima cena, vuol die accettare l’amore di Gesù e cercare di entrare in quella stessa logica. Amen.