Papa Benedetto XVI, nel 2013, poche settimane prima della sua rinuncia, propose all’Angelus una bella riflessione sulla giornata mondiale della pace, a partire proprio dalla pagina del Vangelo appena proclamata. Maria tiene in braccio Gesù – possiamo immaginare così questa scena – con i pastori che vengono ad adorare e poi vanno a spandere questa buona notizia; e Maria, che forse non capiva tutto, custodiva però tutto nel suo cuore. Papa Benedetto dice così: “quel bambino è venuto a portare quella pace che il mondo non può dare. Quale pace? Quella degli operatori di pace, cioè tutti coloro che giorno per giorno cercano di vincere il male con il bene, con la forza della verità, con le armi della preghiera e del perdono, con il lavoro onesto e ben fatto, con la ricerca scientifica al servizio della vita, con le opere di misericordia corporale e spirituale”. E concludeva, avendo sempre davanti la figura di Maria con il Bimbo in braccio: “gli operatori di pace sono tanti ma non fanno rumore; come il lievito della pasta fanno crescere l’umanità secondo il disegno di Dio”. Papa Benedetto cioè coglieva come l’immagine proposta dalla Chiesa nel primo giorno dell’anno, dedicato per volontà di Papa Paolo VI alla pace, non è un’immagine forte, imponente, un’immagine che faccia rumore, è un’immagine dimessa, umile, è una mamma con il bimbo in braccio, è un gruppo di pastori, cioè gente umile, che sa stupirsi: questa è la vera pace che il papa paragonava al lievito, che non fa rumore ma fa crescere la pasta.
Noi cristiani abbiamo questa idea di pace che, con tutti i nostri difetti, diventa pratica di pace, a partire dalle cose piccole. La pace non esplode come le guerre, la pace si radica. Le guerre fanno parlare, purtroppo seminano distruzione e morte. Nel 2022 nel mondo sono stati contati 170 conflitti; noi diciamo, ed è vero, che è scoppiata la guerra il 24 febbraio, ma di guerre ce n’erano già tante nel mondo, solo che non se ne parlava, non facevano notizia. La guerra in qualche modo comunque viene esplode, fa rumore almeno per chi la subisce e per chi la pratica. La pace no. La guerra ama l’espansione, la pace ama l’intensità. La pace comincia dal quotidiano, dalle nostre relazioni immediate. La pace, come vediamo nella festa di oggi, ha un volto domestico, una donna con il bimbo in braccio, l’affetto più immediato.
La pace è una relazione di cura. Papa Francesco nel messaggio di oggi parla della cura e della necessità che si costruiscano tra di noi sempre di più relazioni che si prendono cura dell’altro. La grande nemica della pace è l’indifferenza, il non prendersi cura dell’altro. Il messaggio di papa Francesco tiene conto della pandemia e delle diverse guerre: è un messaggio che chiede di prenderci cura. Il messaggio di quest’anno è stato presentato nella Sala Stampa vaticana in modo piuttosto inconsueto, coinvolgendo oltre ad un cardinale e una suora, anche un cantautore, Simone Cristicchi, il quale, ha espresso ciò che lo ha colpito di questo messaggio; e lo ha fatto alla sua maniera, con una canzone che si intitola “Abbi cura di me”; il cantautore ha detto che non è solo la preghiera che gli esseri umani possono rivolgere al Signore, “abbi cura di me”; ma è anche una preghiera che il Signore può rivolgere a noi, perché, venendo sulla terra come bimbo, ha dovuto essere “preso in cura” lui stesso.
Il tema della cura come contrasto alla guerra è alla portata di tutti. Noi non possiamo direttamente contrastare coloro che hanno deciso le guerre, possiamo farlo con la preghiera, con la testimonianza, ma nessuno di noi può entrare nella stanza dei bottoni o nella mente di coloro che provocano le guerre. Però possiamo contrastare la guerra prendendoci cura gli uni degli altri, cioè innestando la pace come lievito nelle nostre relazioni. Se Dio stesso, facendosi bambino, ha chiesto a noi di prendersi cura di lui, se ha voluto lui stesso farsi prendere tra le braccia, cullare, sfamare, curare, addormentare, questo allora è il più grande messaggio di pace: lui che era la pace in persona è venuto tra di noi nella forma del bisogno della necessità della richiesta di aiuto. La pace si costruisce nel prendersi cura gli uni degli altri, si costruisce, come disse papa Benedetto, nello stile del lievito. Concludo pensando ancora a come questo grande papa, Benedetto XVI, ci abbia dato lui stesso un esempio di come si può essere lievito nella pasta. Egli non amava gesti imponenti e per il suo stesso funerale ha chiesto la massima sobrietà; amava la profondità, amava la bellezza delle relazioni; da grande teologo sapeva che il Signore passa attraverso le cose piccole, attraverso il “tu per tu”: questo è lo stile del Dio cristiano che Papa Benedetto per otto anni ci ha cantato con tutte le tonalità possibili, con una grande intelligenza, con una grande passione per Cristo per la chiesa e per l’uomo.