Omelia nella messa del 1° maggio 2022 per il mondo del lavoro a cura della Pastorale Sociale e ACLI Carpi.
(At 5, 27-32. 40-41; Sal 29; Ap 5, 11-14; Gv 21, 1-19)
Questa ricchissima liturgia della Parola inviterebbe a tante riflessioni. Parto da un particolare piuttosto strano: quando Pietro sente dal discepolo amato che “è il Signore”, dopo la seconda pesca, quella fruttuosa, compie un gesto che non ci si aspetterebbe; dice il Vangelo che “si strinse la veste attorno ai fianchi perché era svestito e si gettò in mare”. Perché si mette ancora una veste per gettarsi in mare? Di solito quando uno vuole nuotare si toglie la veste. Lascio un attimo sospesa questa domanda, perché l’episodio della pesca miracolosa di Giovanni va collocato dentro la terza apparizione di Gesù Risorto.
Le altre due volte, lo abbiamo sentito nelle domeniche scorse, sono state la sera stessa di Pasqua, quando Gesù entra a porte chiuse e si presenta ai dieci senza Tommaso; e poi, otto giorni dopo, quindi di nuovo il primo giorno della settimana quello che noi cristiani chiamiamo la domenica, il giorno della festa: questa volta c’era anche Tommaso e Gesù si presenta all’apostolo dubbioso. Questa terza volta però il Vangelo non dice che giorno fosse: dunque non era di nuovo domenica, altrimenti l’avrebbe segnalato come le altre due volte; non era neanche sabato, perché gli apostoli andarono a pescare e gli ebrei in giorno di sabato non fanno assolutamente alcuna attività. Era dunque un giorno feriale, un giorno qualsiasi: forse per dire che il Signore Risorto non vuole incontrare gli esseri umani solo nel momento della festa, ma anche nel momento del lavoro, non solo nelle pause di ristoro, oggi diremmo non solo in chiesa, ma anche nelle attività quotidiane, nelle attività comuni: anzi è lì che il Signore desidera essere riconosciuto. C’è un secondo dato da sottolineare.
Le prime due apparizioni sono avvenute a Gerusalemme, a porte chiuse, mentre questa terza apparizione avviene in Galilea cento km più a nord, sulla riva del lago, in mare aperto, perché ormai è il tempo della missione. È un’apparizione che mette i discepoli in moto, li fa davvero pescatori di uomini, come aveva promesso Gesù tre anni prima quando li aveva chiamati; è il momento di pescare, non è più il momento di stare chiusi dentro quattro mura, è la Galilea delle genti, cioè la società così come si presenta. Dunque, per questa terza apparizione ci sono due indicazioni, il tempo ed il luogo: è un giorno feriale e avviene in campo aperto. Gesù vuole incontrare i suoi discepoli nell’esperienza del lavoro. Sappiamo che tre dei presenti su quella barca erano pescatori: Pietro, che non era un apostolo facile, era impetuoso; Giacomo e Giovanni, che Gesù aveva soprannominato i figli del tuono e che dunque avevano un carattere molto forte; poi Natanaele l’apostolo che aveva detto “da Nazareth può mai venire qualcosa di buono…”, pieno di pregiudizi; poi lo stesso Tommaso che aveva dubitato. Un bel panorama: e mancano gli altri due, di cui l’evangelista non dice il nome perché siamo noi; Giovanni vuole che anche noi saliamo su quella barca, perché se c’è Pietro che ha rinnegato, se c’è Tommaso che ha dubitato, se ci sono Giacomo e Giovanni che hanno rivaleggiato, se c’è Natanaele pieno di pregiudizi, allora ci sto anch’io.
La Chiesa è debole, è fatta così, il Signore la vuole incontrare nella sua vita quotidiana, nel momento del lavoro. Arriviamo al motivo per cui Pietro, per gettarsi in mare, si veste. Aveva invitato gli altri a pescare – “io vado a pescare” – ma la prima volta non è andata bene e i sette sono tornati a riva senza aver preso nulla. Qui incontrano Gesù, senza ancora riconoscerlo, che dice di ritornare a gettare la rete, ma dalla parte destra. I discepoli ritornano in mare, cosa del tutto inconsueta perché era già passata la notte, quindi non era neanche più il tempo di pescare e probabilmente erano stanchi morti. Però ci ritornano perché sulla parola del Signore la pesca è sempre abbondante. Quando è una nostra decisione, “io vado a pescare”, siamo certi che non prendiamo nulla. Perché allora Pietro si veste quando riconosce il Signore sulla parola del discepolo amato? Perché compie lo stesso gesto che aveva compiuto Gesù qualche giorno prima: questa espressione, “si strinse la veste attorno ai fianchi”, con lo stesso verbo, Giovanni l’aveva già utilizzata, una volta sola, quando durante l’ultima cena Gesù si alzò da tavola, si strinse un grembiule attorno ai fianchi e si mise al lavare i piedi ai discepoli; è il gesto del servizio.
Pietro capisce che anche lui deve imitare Gesù nel servizio e il lavoro diventa servizio e viene nobilitato, perché uno può vivere il lavoro come obbligo, lo può vivere come costrizione, ma quando lo vive come servizio, quando ha il coraggio di fare come Gesù, imitato da Pietro, cioè di “stringersi la veste attorno ai fianchi”, di mettersi il grembiule, allora il lavoro diventa nobile. Dobbiamo fare di tutto, anche noi cristiani, per assicurare la dignità del lavoro, perché diventi servizio, a cominciare proprio dall’avere cura, dal promuovere una cultura della sicurezza sul lavoro, perché altrimenti il lavoro non diventa servizio ma diventa rischio. Semplicemente Gesù vuole incontrarci nel nostro quotidiano e quando noi lo riconosciamo come il Signore, il nostro lavoro certamente non si alleggerisce, non diventa una passeggiata, però prende significato e diventa servizio.
Qualsiasi lavoro noi svolgiamo, dai cosiddetti lavori più umili fino alle professioni più apprezzate, stiamo svolgendo un servizio se dopo avere indossato il grembiule ci siamo gettati nel mare del mondo. È una questione prima di tutto di cuore: per questo chiediamo al Signore che ci aiuti, come ha fatto Pietro, a buttarci in mare dopo esserci cinti i fianchi e a sentire che lui ci vuole incontrare nel nostro quotidiano, non ha bisogno di creare degli spazi sacri per incontrarci, se non quelli che ci servono per motivarci nei giorni di festa; ma poi dobbiamo uscire allo scoperto, inoltrarci nei giorni feriali, andare in Galilea testimoniare lì, tra la gente, che è bello seguire Gesù Risorto.
+ Erio Castellucci