Sorelle e Fratelli carissimi, cari amici dell’Azione Cattolica,
quale grande gioia celebrare la solennità della Santissima Trinità, ricordando il Beato Odoardo Focherini, nel Duomo di Mirandola! Infatti, proprio in questa chiesa, il 9 luglio 1930, il Martire della nostra Diocesi, carpigiano allora ventitreenne, ha sposato la mirandolese Maria Marchesi.
Il Beato Odoardo Focherini e Mirandola
Il rapporto tra Odoardo Focherini, carpigiano di famiglia con origini trentine, e la Città di Mirandola è legato al nome di Maria Marchesi. In Val di Non, Odoardo ventenne conosce questa ragazza, bella e non sofisticata. Dopo il servizio militare e i tre anni di fidanzamento, il 9 luglio 1930, il vescovo diocesano Mons. Pranzini benedice di cuore la loro unione. I giovani sposi vanno ad abitare a Carpi dietro la Casa dei Focherini, in Corso Alberto Pio sullo sbocca della piazza principale.
Dieci anni dopo, però, nel giugno 1940, agli inizi degli eventi bellici la coppia e i figli si trasferiscono qui a Mirandola in piazza ora Costituente, per continuare il lavoro del cognato Bruno Marchesi, proprietario di una conceria, richiamato sotto le armi. La permanenza dei Focherini nella Città dei Pico si protrarrà fino all’autunno del 1944, quando Odoardo si trova già nei Lager nazisti.
Nella azione di soccorso agli Ebrei, Odoardo si servì non solo di amici carpigiani – tra cui la venerabile Mamma Nina (cf. P. Trionfini, Mamma Nina: la «follia» di una maternità traboccante, in E. Manicardi – P. Trionfini, Mamma Nina. La santità in una maternità più grande, EDB, Bologna 2010, p. 25) – ma anche di una coraggiosa rete mirandolese. Qui, infatti, trovò i Francescani di via Montanari, che aprirono le porte agli ebrei, e alcune parrocchie dei dintorni, quali S. Giacomo Roncole (cf. R. Rinaldi, Vigilio Federico Dalla Zuanna, Colibrì editrice, Dosson di Casier 1992, p. 181) e presbiteri come Dante Sala, parroco a S. Martino Spino.
La memoria del Beato Odoardo nella solennità della Santissima Trinità
Oggi è la solennità della Santissima Trinità, in cui la Chiesa, dopo Pasqua e Pentecoste, celebra la circolarità dell’amore all’interno dell’unità divina e nella relazione di Dio con ciascun credente. L’amore non è semplicemente una linea retta che va dal soggetto che ama all’amato, escludendo tutto il resto. In Dio l’amore è una circolazione di relazioni reciproche tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Anche verso l’esterno dell’Uni-Trinità, l’amore divino diffuso verso le creature è circolare e condiviso. Il Padre ama nel Figlio, fatto uomo per la nostra salvezza, e il Figlio invia lo Spirito Paràclito, che è Spirito del padre, affinché l’uomo credente diventi Figlio di Dio e, come dice la teologia orientale, si divinizzi.
La profonda relazione di Dio con l’umanità – più ancora che dalla creazione – è rivelata dalla venuta di Gesù nel mondo: «Dio (Padre) ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Questa vita eterna, donata dalla Trinità, non è semplicemente la vita nel cielo dopo la morte, ma è l’esistenza in pienezza già in questo mondo terreno. È la vita che non può morire mai. È la vita che consiste nell’entrare noi nell’intima comunione vissuta dalle tre persone divine, già durante il nostro cammino storico.
Il culmine di questa vita eterna trinitaria, vissuto sulla terra, è dato a noi nella celebrazione dell’Eucaristia. Noi proprio adesso siamo tutti davanti a Padre per ricordargli che il Suo Figlio, nella notte in cui veniva tradito, ha promesso di lasciarci il suo copro e il suo sangue. Sulla parola di Gesù, in quella notte estrema, noi chiediamo ora al Padre di mandare il suo Santo Spirito, che trasformi adesso il pane e il vino, che gli abbiamo portato all’altare, nel corpo e sangue del Figlio morto e risorto.
Il mistero eucaristico, che viviamo nella liturgia, deve diventare poi concretezza trinitaria nell’esistenza personale di ciascuno di noi. A questo proposito San Paolo ha insegnato con fermezza: «Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (Rm 8,16s).
Il Beato Odoardo e la vita nella comunione con la Trinità
Come ha vissuto, il Beato Odoardo Focherini, la vita trinitaria nella sua esistenza di sposo, di padre di famiglia, di associato dell’Azione Cattolica Italiana, di assicuratore e di giornalista? Lo possiamo dire con una cifra simbolica: Odoardo ha vissuto una vera e propria tracciabilità trinitaria in tutta la sua vita terrena, soprattutto nel suo ultimo doloroso tratto.
Proprio come il Figlio di Dio, egli è morto schiacciato da un’ingiustizia deformante. Questo evidente, ma c’è un’altra dimensione ancora più luminosa, che merita attenzione. Odoardo, come Gesù, è riuscito a fare del suo morire un dono sublime di amore. Albert Vanhoye ha messo in luce che, nell’ultima cena, Gesù ha compiuto due transustanziazioni. Con la prima ha cambiato la sostanza del pane in quella del suo corpo sacrificato per noi. Con la seconda transustanziazione egli ha preso la cupa sostanza della sua morte e l’ha trasformata nel dono assoluto di sé per gli altri. Anche Odoardo ha compiuto l’incredibile miracolo di transustanziare la sua morte, lasciando un testamento sconvolgente: «Dichiaro di morire nella più pura fede cattolica apostolica romana e nella piena sottomissione alla volontà d Dio, offrendo la mia vita in olocausto per la mia Diocesi, per l’Azione Cattolica, per il Papa e per il ritorno della pace nel mondo». … Offrendo la mia vita in olocausto: come Gesù, Odoardo ha trasfigurato la sua orrenda morte in un dono di purissimo amore. Questo sublime atto lo ha lasciato a noi e appartiene ai tesori più prezioso ricevuti dalla nostra Chiesa diocesana, dalla città di Carpi e dalla città di Mirandola.
Inoltre, nella sua vita Odoardo è stato anche traccia dell’immagine dell’amore del Padre, che «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito». Per amore della giustizia e degli uomini oppressi – in una prospettiva di vangelo radicale – Odoardo ha messo in secondo piano non soltanto la sua vita, ma anche la propria sposa e i propri figli, esponendoli alla triste fatica della vita in solitudine. Come la sua amica Mamma Nina Saltini, egli ha accettato di vivere la più pura parola di Gesù sul discepolo: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26).
Edoardo infine è stato anche riflesso terreno dell’amore dello Spirito Santo consolatore, la terza persona della Trinità santissima. Le sue semplici e sublimi lettere alla moglie sono il tentativo sovrumano di consolarla e di farla sperare insieme con lui. In una Lettera dal Campo di concentramento di Fossoli, le scrive: «Ripeto a Dio l’offerta di tutto in favore tuo e dei piccoli nella speranza di tutti potervi riabbracciare al più presto … Baciami tutti come io faccio sulla foto mattina e sera. La fede ti conforti, guidi e sorregga, il ricordo delle ore più belle ti sia vicino, il calore immenso del mio affetto ti riscaldi, ti accompagni e ti sorregga il mio amore, la mia gratitudine immensa … Il Signore è con noi e noi fidiamo in lui. Il Signore ti accompagni sempre e sta certa che la preghiera, se vale di più quando è avvallata da una offerta, la mia lo è da non poco e lo sarà ancora di più, ogni giorno, ogni ora. È il meno che possa fare, e il meglio ché di più non mi è possibile». Odoardo è stato per la sua Maria la traccia terrena dello Spirito Consolatore.
Chiusa
Odoardo ha amato come Gesù, ha amato come il Padre e ha amato anche come lo Spirito Santo Paràclito. Nel suo generoso cammino di uomo giusto è stato traccia inequivocabile dell’amore e della vita trinitaria divina. Che tesoro sublime ha lasciato alla nostra Chiesa!
Quando i nostri passi diventano incerti, quando la nostra testimonianza cristiana è penosamente sbiadita, quando una difficoltà ci fa tremare, ricordiamo quanto è riuscito a fare questo nostro fratello. È un «santo della porta accanto» – come direbbe Papa Francesco – è il santo della porta accanto alla nostra. Nella vostra piazza, cari Mirandolesi, è piantata un’importante “pietra d’inciampo”, là dove abitavano sua moglie e i suoi figli quando egli veniva imprigionato e portato verso i campi della morte. Andiamo a vederla. Ci farà bene, soprattutto in questi giorni importanti di ricostruzione post covid-19, dove occorre tanto coraggio quanto prudenza, mentre tutti abbiamo ancora addosso una pesante traccia di pandemia.
Beato Odoardo Focherini, prega per noi.
Sia lodato Gesù Cristo.