Cattedrale di Carpi

Omelia nella notte di Natale

Omelia di mons. Ermenegildo Manicardi – Diretta televisiva Tvqui

«Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse».

1.       La luce nelle tenebre

Sorelle e fratelli carissimi, presenti in questa cattedrale o raccolti nell’intimità delle vostre case, forse le parole d’Isaia risuonano con maggior peso e verità nella Messa della notte di questo Natale. Il popolo che camminava nelle tenebre è l’umanità di oggi che, affaticata e dolorante, cammina nella pandemia. Il Natale ha sempre il sapore di una luce nelle tenebre, ma quest’anno questo è vero in modo particolare. Lo scatenarsi del virus ci ha costretti a cambiare perfino l’ora della Messa-di-mezzanotte.

Forse le 20, l’orario in cui abbiamo cominciato questa celebrazione, possono sembrare a qualcuno meno tenebra delle 24 precise. In realtà le 20 di questa sera – anche se non hanno la profondità oscura della mezzanotte – sono inscurite della sofferenza e dalla solitudine di tanti di più del solito. Ogni Natale ha avuto i suoi poveri, i suoi malati, le persone sole, la gente in lutto, gli emarginati, i denutriti, i barboni e gli scartati. Ma quest’anno il fenomeno di questa oscurità è più diffuso e pandemico. Quest’anno il popolo che camminava nelle tenebre e coloro che abitavano in terra tenebrosa siamo proprio noi, anche noi che siamo qui in Cattedrale o che celebriamo nella preghiera delle nostre case. Vorrei ci fermassimo a meditare su due figure chiave del vangelo di questa notte vedendole sullo sfondo delle loro notti. Penso a San Giuseppe e ai pastori di Betlemme.

2.       All’interno di un sistema di regole imposte: Giuseppe

Questo tempo di lockdown e di cosiddetto coprifuoco può portarci a rinnovare il nostro sguardo sulla figura natalizia di Giuseppe, contemplata nella notta di Natale.

Anche il mistero della natività di Gesù si compie all’interno di un sistema di regole imposte, che Giuseppe rispetta. Anche lui ha dovuto accettare la dura ordinanza imposta da Cesare Augusto per realizzare il censimento di tutto il suo immenso impero. Dalla Galilea ha dovuto raggiungere la Giudea, l’unico luogo dove era prevista la sua iscrizione nei registi delle tasse. Per lui la cosa fu particolarmente pesante: sua moglie era ormai verso il termine della gravidanza. Dopo il faticosissimo viaggio, l’arrivo a Betlemme presenta a Giuseppe un’altra inattesa difficoltà: non si trova posto là dove avrebbe dovuto essere prevista la loro sistemazione. Papa Francesco nella sua recentissima Lettera apostolica sulla paternità di San Giuseppe, scrive:

«Molte volte, leggendo i “Vangeli dell’infanzia”, ci viene da domandarci perché Dio non sia intervenuto in maniera diretta e chiara. Ma Dio interviene per mezzo di eventi e persone. Giuseppe è l’uomo mediante il quale Dio si prende cura degli inizi della storia della redenzione. Egli è il vero “miracolo” con cui Dio salva il Bambino e sua madre. Il Cielo interviene fidandosi del coraggio creativo di quest’uomo, che giungendo a Betlemme e non trovando un alloggio dove Maria possa partorire, sistema una stalla e la riassetta, affinché diventi quanto più possibile un luogo accogliente per il Figlio di Dio che viene nel mondo» (Patris corde, 5).

Per noi le norme non sono quelle del censimento di Cesare Augusto, ma regole del Governo italiano destinate a provare di contenere il virus Covid-19. Anche a noi è chiesta una creatività e una inventiva come quella che Giuseppe dovette mostrare nel viaggio e nell’amara sorpresa delle chiusure di Betlemme. Il fastidioso censimento romano si rivelò, però, come lo strumento con cui la Provvidenza volle che Gesù, il Messia figlio di Davide, nascesse proprio là dove Davide fanciullo aveva pascolato le greggi della famiglia.

Certamene anche dietro la nostra fatica spossante della pandemia il Signore ha un suo piano. Se saremo obbedienti, amorevoli, creativi come Giuseppe ci troveremo condotti in una Betlemme che, al di là della difficoltà, nel disegno di Dio, può diventare proprio la città giusta per noi e per il nostro futuro. La pandemia ha ridotto molte cose, ma non lo spazio dell’amore, della tenerezza e della carità. Forse i distanziamenti indicano proprio che è necessario lo sforzo di creare una vicinanza maggiore nei cuori. La pandemia non dipende da noi, ma il modo e di viverla e l’atmosfera sociale so no nelle nostre mani.

3.       Uscire dalla notte per annunciare il Vangelo: i pastori di Betlemme

Non meno esemplari per noi sono i pastori di Betlemme. Anche loro sono in uno spazio scomodo, nel buio notturno. All’improvviso, però, «la gloria del Signore li avvolse di luce» e il Vangelo portato dagli angeli è andato a recuperarli dall’oscurità e dalla notte. Anche per noi questa sera, il Vangelo del Natale è una luce nella tenebra della pandemia.

Il Vescovo Erio – che ha cominciato in questi gironi il suo ministero di XIX Vescovo della Diocesi di Carpi –  ci ha parlato nel suo messaggio natalizio degli angeli portatori di luce, paragonandoli ai moltissimi che in questi mesi si sono fatti operatori di bene, di consolazione e di speranza.

Non solo gli angeli, ma anche i pastori sono diventati portatori di luce e lo sono stati a sorpresa soprattutto per Maria e per Giuseppe. Al loro arrivo preso la mangiatoia, essi

«trovarono Maria e Giuseppe e il bambino … e riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,16-19).

I pastori che all’inizio giacevano nel buio, illuminati dal Signore sono stati all’improvviso trasformati in luce. Sono diventati gli evangelizzatori di Maria e di Giuseppe, i genitori terreni di Gesù.

Nella liturgia di questa notte anche noi veniamo illuminati dall’annuncio ricevuto dai pastori: «Oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10s). Una notte come questa rivolge anche a noi l’appello a farci portatori di luce con i gesti dell’amore e con le parole della speranza. Nel buio della pandemia, è ancora più necessario che brilli il vangelo. La celebrazione del Natale ci è data perché noi ci rinfranchiamo. Non possiamo accontentarsi di avere paura e di brontolare.

Siamo venuti qui in cattedrale o ci siamo racconti in preghiera nelle nostre case perché il Figlio eterno di Dio ha voluto abitare tra noi. Nel Natale 2020, che probabilmente passerà alla storia come il Natale della pandemia, Gesù ci viene ancora più vicino degli altri anni. Si fa uomo ancora una volta a dispetto del Covid-19 e fa sosta accanto a ciascuno di noi, anche accanto a chi è malato e si trova in quarantena. Dobbiamo lasciarci trasformare, almeno un poco, dalla luce di questa notte.

Come San Giuseppe, il nostro compito è darci da fare perché una povera stalla possa diventare il luogo dove la vita nuova del Figlio di Dio viene accolta e protetta. C’è bisogno dei distanziamenti perché il contagio non si diffonda, ma c’è bisogno di speranza vera, di calore fraterno, di amicizia solidale perché lo scoraggiamento non s’espanda a macchia d’olio e non emergano chiazze di euforia surrogata e pericolosa. Come i pastori, anche noi siamo chiamati a ripetere ad altri il vangelo che ha riempito il nostro cuore e ci ha strappati al buio e alla notte.

Non lasciamo che la nostra realtà sia fatto soltanto di distanziamenti, sanificazioni, incertezze e preoccupazioni frustranti. Senza che, per ora, il virus se ne sia andato, nel nostro cuore e nel nostro mondo c’è anche la luce del Signore. Diciamocelo e diciamolo:

Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace.

Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e per sempre.

Amen.