Sul caso dei presunti affidi illeciti di Bibbiano ospitiamo l’intervento di Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, che con le numerose case-famiglie in Italia e nel mondo, una anche a Mirandola, si pone come una delle realtà più significative nel campo dell’accoglienza dei minori.
L’intervista di Francesca Ciarallo –>
Bambini suggestionati per alterare loro i ricordi, bambini rubati alle famiglie per mandarli in affido da amici e conoscenti a scopo di lucro. Storie di presunti affidi illeciti da far accapponare la pelle quelle che stanno venendo alla luce, in questa torrida estate, nel paesino di Bibbiano con l’inchiesta Angeli e Demoni, che mette sotto accusa la rete dei servizi sociali della Val d’Enza nel Reggiano.
Su questo delicato caso è stato interpellato Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, associazione che da decenni accoglie i minori nella propria rete di famiglie affidatarie e di case famiglia.
Ramonda, i media parlano dei fatti di Reggio Emilia come di bimbi sottratti alle famiglie per una questione economica, per affidi ben remunerati, cosa succede davvero?
«Su questo caso bisogna essere molto prudenti e quindi attendere che la magistratura, chi ha il dovere, faccia delle indagini serie, competenti, non mosse dai rumori dei media. Generalmente, quando un minore viene allontanato da una famiglia ci devono essere dei motivi molto validi, perché la legge 149 del 2001 sull’affido familiare è molto chiara. Il minore deve vivere all’interno della propria famiglia di origine e lo Stato, nelle sue componenti, deve garantire sostegno economico ed educativo perché quel minore possa rimanere lì. Come associazione, proprio in queste settimane, abbiamo sostenuto una famiglia, una coppia di zingari, che aveva 5 bambini a cui erano stati tolti. Abbiamo costruito una rete sociale territoriale che garantiva il fatto che quei bambini potessero stare con papà e mamma in modo sufficientemente adeguato. Non penso assolutamente che ci sia un motivo economico, perché l’affidamento familiare dà una quota economica irrisoria che va dalle 400/500 alle 600/700 euro al mese per il mantenimento di un bambino, non è sicuramente un discorso economico».
Quello che colpisce è l’assoluta mancanza di possibilità che la famiglia ha di entrare in un contradditorio. La famiglia a cui vengono levati i bambini non ha difese.
«Sì, questo va garantito assolutamente. La famiglia di origine deve avere la possibilità di motivare e giustificare la sua eventuale capacità educativa. Tra l’altro tutta la legge sull’affidamento familiare prevede il sostegno della famiglia di origine e lo Stato, i servizi sociali, il consorzio socioassistenziale devono garantire il sostegno economico e un eventuale sostegno educativo. Il bambino quando viene tolto è per motivi gravissimi ma che devono essere certificati».
Questo non sembra sempre vero, il caso di Reggio Emilia è un caso isolato o ci sono delle prassi diffuse?
«Per l’esperienza che abbiamo noi come Comunità Papa Giovanni XXIII in tutta Italia, riteniamo che si sia collaborato molto bene con i servizi sociali e anche con i tribunali. Poi ovviamente ci possono essere delle zone d’ombra con casi eclatanti che in questi decenni ci sono stati ma che vanno, come in questo caso, verificati attentamente, dando a ogni realtà chiamata in causa la possibilità di difendersi e di spiegare le proprie motivazioni.
Certamente non deve essere assolutamente diminuito l’impegno di formazione e sensibilizzazione per l’affidamento familiare. Le famiglie affidatarie sono un tesoro preziosissimo di questa nostra società. Sono dei genitori giovani che a volte, oltre ai propri figli naturali, aprono il cuore della propria famiglia ad altri figli, è una risorsa sociale insostituibile che va potenziata, sostenuta, alimentata e ben vengano anche eventuali commissioni di inchiesta, non potranno che verificare la bontà di questo istituto dell’affidamento e anche dell’adozione. Tanti bambini sono stati salvati dal dover andare in istituti, in strutture totalizzanti, dove acquisiscono e accumulano un’aggressività che prima o poi faranno pagare. Molti di quelli che sono in carcere non sono mai stati sulle ginocchia di un papà e una mamma. Noi dobbiamo garantire a questi bambini un papà e una mamma, e l’affidamento familiare è una realtà che garantisce questo.»
Però proprio per arrivare a questo ci vuole un sistema funzionante. Qui sembra che ci sia un sistema che invece ha eccessive lacune. Ad esempio questa delega in bianco a terzi che è avvenuta nel caso di Reggio Emilia alla onlus Hansel e Gretel da parte dei servizi, una delega assoluta…
«Io penso che bisogna creare una rete, non bisogna mai avere una relazione fra due realtà, siano esse servizi sociali o una associazione, anche se hanno competenze anche molto elevate. Bisogna costruire una rete molto più ampia, un controllo sociale molto più ampio: è questo che garantisce. È un territorio sociale che custodisce le famiglie d’origine e anche le famiglie affidatarie, per cui anche qualora ci fossero di questi casi non viene delegato in bianco e in toto a degli esperti, ma il tessuto sociale e i servizi sociali devono lavorare con una pluralità di soggetti. Questo garantisce il buon funzionamento dell’affidamento familiare».
Lo scopo finale dell’affidamento è il rientro nella famiglia d’origine quando è possibile. Se già in un affido si rompono così questi legami – tra l’alto il garante per l’infanzia ci dice che oggi abbiamo 26.000 minori fuori famiglia e per 6 su 10 di questi, l’affido è andato ben oltrei periodo previsto dalla legge – se il sistema è questo, sembra una follia pensare che si possa avere un rientro familiare in queste condizioni.
«il rientro familiare va sempre auspicato agevolato e bisogna lavorare per togliere ciò che impedisce questo rientro. Però questi 26.000 sono generalmente minori che hanno una famiglia a cui non è stata tolta la patria potestà, ma non possono rimanere nella famiglia o per una incapacità educativa da parte della famiglia o per disturbi del comportamento. Molti di questi bambini sono bambini con delle grandi sofferenze. Allora ecco che la legge proprio sull’affidamento familiare prevede le comunità familiari o case famiglia, cioè delle famiglie sostitutive che garantiscano la crescita armonica come avviene per i nostri figli naturali: dare un papà e una mamma e dare dei fratelli a queste creature. La legge di per sé è valida, la legge sull’affidamento familiare va attuata, va finanziata, va potenziata, va conosciuta e anche i politici devono acquisire un po’ di umiltà e mettersi a studiare e conoscere sui territori queste realtà, che forse fino a ieri non hanno mai conosciuto».
Allora non esiste soltanto un affido così pieno di orrori e criticità, esiste anche un affido importante fondamentale che ha bisogno di una narrazione positiva.
«Certamente l’affidamento è ricchissimo, è un’esperienza validissima dal punto di vista umano, relazionale, affettivo e dà una risposta sociale al paese, crea in questi bambini delle personalità mature. Noi abbiamo dei bambini che hanno vissuto un’esperienza di affidamento che oggi sono professionisti, lavorano per il bene comune di questo Paese. Quindi l’affidamento è un’esperienza molto positiva».