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‘Rovine. Qualcosa crollò anche intorno alla sede de ‘L’Avvenire d’Italia’ in Via Mentana. Fu durante l’incursione diurna del 25 settembre 1943. Giornalisti, maestranze ed abitanti delle case vicine avevano fatto appena in tempo a ripararsi nel rifugio del giornale, tanto era stata improvvisa l’offesa aerea. L’urlo delle sirene era stato preceduto dal rombo dei motori e dal fragore dei primi scoppi. La popolazione era stata colta per le strade, nell’ora del maggior traffico.


Nel rifugio del giornale giunse l’eco di deflagrazioni assai prossime. Una bomba, colto di striscio il campanile di San Martino, era rimbalzata in Via Mentana uccidendo e ferendo varie persone in fuga. Urli di raccapriccio e di dolore s’erano levati. Dal rifugio qualcuno uscì. Tra questi Focherini. Uscì e rientrò più volte sotto il bombardamento recando moribondi e feriti gravi e meno gravi [‘] Focherini resse fino all’ultimo. Sin che fu necessario seppe mantenere il dominio dei propri nervi sconvolti, durare nella fatica fisica. Quando la raffica passò e l’opera pietosa fu compiuta, fu colto da collasso nervoso. Crollò alla piena della pietà per quanto aveva veduto, allo sforzo fisico, alla rude scossa psichica subita.


Gli rimase l’orrore dei bombardamenti aerei, tanto che non seppe da allora pernottare a Bologna ed il suo cuore ne ricevette una preoccupante lesione che avrebbe dovuto inibirgli ogni sforzo ed ogni emozione. Ma Focherini non era che all’inizio, come vedremo, dell’opera sua. Egli non era uomo da risparmiarsi. Girava con un farmaco, lo trangugiava non nelle ore prescritte ma quando se ne ricordava. E continuava a spendersi per tutti. Come prima ed anche più di prima perché per troppi ormai urgeva il suo aiuto.’


(tratto dal volume ‘Mio fratello Odoardo’ di Giacomo Lampronti,


giornalista ebreo amico di Focherini, 1948)


 


 


‘Quando hai eretto pietra su pietra, con sacrificio e rinunce, la costruzione che pur deve servire a Dio, una raffica spezza ogni cosa. Ma bisogna non disperare ancora. Bisogna porsi pazientemente all’opera di ricostruzione. Dio vuol dimostrarci così quanto siano labili le nostre povere opere. Può apparire questa una delle tante contraddizioni del Cristianesimo. E racchiude invece una grande verità. La fatica val più dell’opera agli occhi di Dio. L’opera può farci inorgoglire; la fatica rimane il solo titolo di merito davanti al Signore’.


(Odoardo Focherini, colloquio con l’amico Giacomo Lampronti,


dopo il bombardamento su Bologna che il 29 gennaio 1944 distrusse completamente


la sede del quotidiano L’Avvenire d’Italia. Dal volume ‘Mio Fratello Odoardo’, 1948)


Carissima Maria,


ò ricevuto qualche giorno fa la tua del 14, ultime gradite tue nuove e non può che avermi profondamente addolorato la conferma del tuo stato d’angoscia che paventavo.


E non poterti dire altro che una parola di fede sempre più viva in «Colui che tutto muove» ma per ora non ancora avallate da nessuna speranza umana che non sia la certezza della mia innocenza piena, assoluta, indiscussa e indiscutibile, e quella che le indagini che suppongo siano sempre in corso, mi diano nei loro risultati immancabili la attesa gioia di tornare a te ed ai bambini il cui sorriso ho sempre davanti agli occhi, le cui preghiere sento tanto, tanto vicine alle mie di ogni ora, di ogni giorno.


La prova alla quale è sottoposta la nostra famiglia non è delle più modeste, ma appunto per questa sua gravità inattesa ed eccezionale non potrà che fruttare a favore dei nostri sette bambini e di noi se sapremo accettarla ed offrirla per il nostro bene. [‘] Ti sia di conforto la fede che sempre ti à sorretto, ti accompagni la speranza di presto rivederci come fermamente credo, ci siano di grande aiuto le preghiere comuni per il bene comune. [‘] Pazienta, spera, ed al piacere del gran giorno in cui riconosciuta l’innocenza mi sarà dato di riabbracciarti, abbiti tanti baci affettuosi. Tuo Odoardo.


(Odoardo Focherini, lettera alla moglie


dal Carcere di San Giovanni in Monte, Bologna, 27 maggio 1944)


 


 


Maria carissima,


dalla tua calligrafia ò avuto a conferma dell’impossibilità dell’incontro [in lager a Fossoli, n.d.R]. Pazienza e coraggio. Non so fino a quando potrò servirmi di questo mezzo per scriverti e ne approfitto. Sono privo di tue notizie e aggiungo al resto anche questa rinuncia. Un giorno ad una richiesta decisiva [quella di fidanzamento, n.d. R.] ti chiesi: se Le dicessi che’ Oggi non è più una richiesta di relazione, ma un dubbio sul nostro domani che potrebbe voler anche uno spostamento non si sa per dove.


Se così fosse, se così sarà, accettiamo anche questo con la stessa cristiana rassegnazione con la quale abbiamo accettato il passato, a te il gran carico dei bimbi in un’ora difficile e dura, a me quello del pensiero di tutti voi e dell’impossibilità a fare qualcosa oltre a pregare e ad offrire la sofferenza dell’ansia e dell’angoscia per te e voi tutti che in ogni ora della giornata mi siete più che vicini, direi troppo se non fosse quasi blasfemo.


La sola certezza che nulla di ciò che è dolore e sofferenza va perduto, ma che tutto si tramuta in benedizione se accettata con fede ed offerta a Dio, dà la forza per pensare a te ed ai piccoli con una minore angoscia paventando i pericoli del peggio che pessimisticamente si può e fatalmente si è portati a pensare.


La sofferenza è tutta lì’ tutto il resto non si sente o appena si percepisce, sopraffatto da questo pensiero che talvolta pare troppo pesante. E sarà ancor poco? Se il Signore vorrà o permetterà un prolungamento o un aggravamento? Fiat voluntas Dei Mariolina e con immutata certezza che tutto dobbiamo donare con generosità, accettiamo con animo il più sereno possibile la croce, se verrà, più pesante e avanti.


Quanti baci? Tanti quanti te ne darò il Giorno beato che aspetto con cuore sempre più a te unito.


(Odoardo Focherini, lettera alla moglie dal Campo di Concentramento di Fossoli,


13 luglio 1944. Il giorno precedente 67 prigionieri erano stati prelevati dal Campo


e fucilati per rappresaglia dai nazisti presso il Poligono di Cibeno)


Maria carissima [‘],


superato ormai l’inizio del quinto mese di detenzione, sento come te l’aggravarsi del peso che la lontananza e le condizioni particolari di essa fanno duro ed in certe ore insopportabile se non vi fosse il conforto e l’aiuto della Fede. Abbine tanta tanta e offri come faccio io il duro sacrificio per la tua missione di Mamma, per la salvezza tua e dei piccoli nostri. E’ ciò che chiedo in ogni ora da quel lontano 11 marzo, certo che non sarà chiesto invano anche se la prova dovrà prolungarsi o peggio aggravarsi.


Chiedo in umiltà piena assistenza per te, per te forza e rassegnazione e coraggio, per me spirito di sopportazione non tanto per l’ambiente e la cattività alla quale ormai sono più che addestrato quanto al tormento del pensiero di tutti i miei cari ai quali vorrei esser vicino, sui quali ingiustamente pesa l’assenza in queste ore cruciali.


Che dirti, Mariolina? Ti ò vista, ti ò sentita vicina chissà per quale sensazione strana e quando seppi che c’eri una folla di pensieri si affacciò’ poi la visione fugace, bella e dolorosa ad un tempo ma sufficiente per un tuo sorriso anche se amareggiato dalle mie stesse lacrime di impotenza e di dolore, e più tardi il colloquio con chi ti aveva parlato.


Coraggio e avanti, abbimi vicino come vorrei, come lo sono col cuore, col desiderio, con la speranza, con la preghiera e se anche la prova è dura e se dovrà divenirlo ancor più sappiamo esserne degni, fidenti in Colui che tutto può.


(Lettera alla moglie dal Campo di Concentramento di Fossoli, 18 luglio 1944)


 


 


Odoardo cerca di sostenere e maturare in Maria il dono dell’obbedienza a Dio. Egli tenta questo passo fin da principio. Il Testamento olografo porta al culmine quest’opera di preparazione al peggio. Non a caso il testamento è inserito dopo due lunghissime lettere di libera effusione. L’impressione è che Odoardo abbia approfittato di un momento eccezionalmente positivo per fare lui stesso questo passo e per farlo fare a Maria. Attraverso il testamento, ‘che è misura di cristiana prudenza’, egli fa intravedere a Maria che un giorno tutto potrebbe precipitare e cadere sulle sue spalle.


Il mistero dell’amore coniugale è trattato con efficace delicatezza, mentre le sofferenze presenti sono interpretate come purificazione e saldatura ulteriore dell’indissolubilità: ‘Quanto abbiamo imparato in questi tempi duri specialmente per te, quanta esperienza, quanti pensieri di rimpianto e di rammarico per non aver sempre saputo vivere in piena intensità affettiva tutti, tutti i momenti della nostra vita, per non aver saputo sempre disperdere subito con un colpo affettuoso di zeffiro i piccoli cirri vaganti nell’azzurro del nostro cielo! [‘] Avevamo forse bisogno che il dolore con i suoi aculei cerchiasse i nostri cuori per riunirli di più, per compenetrarli ancora di più, per saldarne la indissolubilità. Senz’altro la Provvidenza ci à chiesto questa prova che potrà anche prolungarsi nel tempo e maggiorare in intensità per ricambiare la generosità e a bontà dell’accettazione in tante rose senza spine, in tanti petali di protezione per i figli di questo nostro grande amore, per i fiori sbocciati da questa nostra unità di pensieri, di ideali, di vita, di speranze, nate e cresciute al sole di una fede nella quale abbiamo cercato sempre di vivere e di operare. Questa mia potrebbe anche essere l’ultima, ché potrebbe darsi che il mezzo per fartele pervenire venisse a mancare’.


(Mons. Ermenegildo Manicardi, censore teologo, in ‘Osservazioni su alcuni atteggiamenti di Odoardo Focherini in carcere, come risulta dalle Lettere’, dalla Positio super Martyrio)


 


 


‘Lo rivedo, Odoardo, seduto su questo sedile accanto a me, con la sua grande borsa di cuoio, piena di tutto, anche di quei tali documenti che gli servivano per salvare gli Ebrei, assieme alle polizze di assicurazione, ai documenti dell’Avvenire, alle scarpe da portare ai figlioli, ai bicchieri infrangibili da portare a casa, sicché sorridendo soleva dire: ‘Sfido chiunque a capire dalla mia borsa quale sia il mio mestiere’ ‘.


(Giacomo Lampronti in ‘L’Avvenire d’Italia’ n. 47, 1945)


 


 


‘Ho incontrato Odoardo Focherini, amministratore delegato de ‘L’Avvenire d’Italia’, nell’ottobre del 1943, quando cercavo salvezza per mio figlio, per i miei, per me. Ricordo che egli mi disse: ‘Ho sette figli e di fronte alla mia coscienza sarei a posto anche se pensassi solo a proteggere loro, ma non posso fare a meno di aiutarvi’. Seppi, a liberazione avvenuta, che Odoardo Focherini, mentre cercava di salvare Enrico Donati, era stato arrestato, inviato a Fossoli e di lì a Flossenburg dove morì. Venne denunciato come salvatore degli Ebrei e per questo fu vittima dell’odio nazista.


La vedova, signora Maria e i figli vivono a Carpi, provincia di Modena. Nella solitudine in cui la ferocia nazifascista lasciò mio figlio e me, il ricordo del sacrificio di Odoardo Focherini mi aiuta a credere che esistano ancora quei valori umani di cui, dopo tante atrocità, si sarebbe portati a dubitare’.


(Testimonianza di Laura Bassani, vedova Fink,


ebrea salvata da Odoardo. Ferrara, 25 novembre 1954)


 


 


‘Vivo tra noi ci dette il sentore di queste sue grazie particolari. Una concezione errata della santità ci propende a ritenere che i santi anche su questa terra siano costantemente con gli occhi rivolti al cielo, circonfusi di un’aureola luminosa, odorosi di rose o di viole. Pensiamo di vederli come di poi la pietà li dipinge sugli altari. Non riusciamo a comprendere come un santo possa essersi assiso alla nostra mensa, a mangiare gagliardamente e gagliardamente bere, parlando di cose futili, scherzando, giocando con i nostri bambini, dormendo poi sotto il nostro tetto come un qualsiasi mortale. Dimenticando nella nostra miseria che la Chiesa ha il mandato divino di fare di ogni uomo un cristiano e di ogni cristiano un santo e che quindi è più che naturale che se un uomo come Odoardo Focherini prende sul serio la sua dignità di cristiano, cammina naturalmente sulla via della santità’.


(tratto dal volume ‘Mio fratello Odoardo’ di Giacomo Lampronti,


giornalista ebreo amico di Focherini, 1948)