La misericordia nel cammino educativo

Carpi, Seminario vescovile
03-03-2016

Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia

La Beatitudine della “misericordia” potremmo anche tradurla in questo modo: Beati quelli che hanno compassione degli altri: Dio avrà compassione di loro. Beato  significa felice. Nella Bibbia una persona è felice quando è gradita a Dio. Chi è il vero “gradito” a Dio? E’ solo Gesù il quale è anche il vero beato, il vero felice perché è eternamente unito a Dio in quanto è il Figlio amato.

Quando dunque sono misericordioso sono “beato” perché so di piacere a Dio, in quanto assomiglio al Figlio suo.

Che significa essere misericordiosi?
Ci aiuta a rispondere a questa domanda la stessa riflessione umana. Virgilio nell’Eneide esalta una virtù particolare: la pietas la quale consiste nel sentimento di solidarietà che lega gli uomini tra di loro. Enea e Didone, incarnano questo sentimento. Entrambi, poiché hanno fatto personalmente l’esperienza della sofferenza, acquisiscono una sensibilità particolare che li mette in condizione di percepire la fragilità e la mortalità del prossimo e quindi di farsene carico. La pietas dunque è un sentimento altruistico che nasce da un cuore che sa comprendere la debolezza e la fragilità umana perché si sente partecipe della comune condizione umana segnata dai limite fisico e morale, e dalla mortalità.

Anche la tradizione cristiana ha fatto della “pietà” verso i fratelli un caposaldo della propria spiritualità. Ne troviamo un esempio nella Divina Commedia.   Nel Canto V dell’Inferno, Dante dopo avere riportato il racconto di Francesca annota: Mentre che l’un spirito questo disse, l’altro piangea; si che di pietade io venni men così com’io morisse (139-141). Nel Canto XIII Dante incontra Pier delle Vigne trasformato in un gran pruno a cui il poeta strappa un rametto. E Pier delle Vigne protesta con forza: Perché mi scerpi? Non hai tu spirto di pietade alcuno? (35-36)

Fatte queste precisazioni, utili e necessarie e anche onestà dovere riconoscere che l’uomo non è portato naturalmente alla “pietas” cioè ad amare gratuitamente gli altri. Anzi, siamo piuttosto portati all’autoconservazione, alla volontà di dominio, all’egoismo. Illuminanti, a questo riguardo, sono le parole di Gen 8,21. Ci troviamo dopo il diluvio universale. Il Signore stringe un’alleanza di grazia con l uomo, e in questa alleanza al partner umano non viene richiesto nulla, perché Dio sa che «l istinto del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza».

Nonostante questa inclinazione al male, Gesù nel Vangelo identifica la perfezione, cioè la pienezza della vita o se vogliamo una vita ben riuscita, nella misericordia: siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso (Lc 6,36). E come si esprime questa perfezione?  Nel Nuovo Testamento noi troviamo indicazioni molto concrete e pertinenti sul modo di vivere la misericordia:
– «Non giudicate, per non essere giudicati» (Mt 7,1);
– «Ho avuto farne e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi…” (Mt 25,36).
– Dio «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45).
San Paolo può riassumere tutti questi insegnamenti con una frase lapidaria: « (Rm 12,2). Non lasciatevi vincere dal male, ma vincete il male con il bene.

Ci troviamo di fronte ad un comportamento che è decisamente altro rispetto a quello diffuso tra gli esseri umani e che è stato ben riassunto nell’immagine dell homo homini lupus.

Tuttavia, alla luce dell’insegnamento e dell’esempio di Cristo, la misericordia non si risolve solo nell’attenzione al fratello sofferente, bisognoso, indifeso ma si estende anche al peccatore il quale deve essere salvato. Per scoprire la vera immagine di Dio dobbiamo avere l’umiltà di metterci alla scuola di Cristo il quale, poiché è Dio fatto carne, è l’immagine visibile di Dio e della sua misericordia ci porta a riconoscere che noi: «Noi amiamo perché Dio ci ha amato per primo» (1 Gv 4,19).

In che modo Dio ama l’uomo? Il volto che Gesù ci ha svelato di Dio è un volto materno e paterno insieme. L’amore materno è fatto di comprensione, di perdono, di aiuto, di compassione, nel senso di partecipazione alla sofferenza del figlio. L’amore paterno è un amore che guida, indirizza, corregge… Il codice paterno e quello materno non sono contrapposti e neppure alternativi: sono del tutto complementari e interagenti.

L’amore di Dio, allora, è tenero e misericordioso, ma anche illuminante e vigoroso, è accogliente e comprensivo, ma anche veritiero e forte. Dio è infinita misericordia, ma anche colui che presenta all’umanità le grandi leggi della vita che noi non possiamo trasgredire senza essere profondamente sconvolti e infelici.

La Beatitudine della misericordia per l’educatore

Che cosa chiede all’educatore la Beatitudine evangelica della misericordia? Provo a rispondere a questa domanda attraverso alcuni orientamenti concreti.

1. Tenere presente la situazione difficile di chi viene oggi educato.

I nostri bambini, adolescenti, giovani si presentano a noi come una generazione fragile, ferita, spesso senza punti di riferimento. La loro è un’età difficile da capire. E’ difficile per noi, ma più spesso per loro.

I maschi sono spaventati dalle femmine, oggi molto più intraprendenti e attive.
Le femmine, a loro volta, hanno davanti agli occhi modelli idealizzati e irraggiungibili: devono essere contemporaneamente belle, intelligenti, seducenti, manager, eternamente giovani… si trovano cioè a confrontarsi con un progetto estenuante che produce senso di inadeguatezza.

Entrambi i sessi cercano una propria identità nel gruppo, dove elaborano un loro linguaggio: spesso si tatuano per dare più forza alla loro immagine, come “camaleonti frastornati”.

Di fronte al mondo dei ragazzi e dei giovani la reazione delle famiglie è spesso inadeguata:

  • alcune si rifugiano nel permissivismo educativo;
  • altre nel rigorismo;
  • molte altre non sanno più che cosa fare

e cosi i ragazzi e i giovani sono in difficoltà con se stessi: non si accettano, alcuni portano con sé, consciamente o inconsciamente, delle ferite che producono alla fine ribellione, odio, violenza, relazioni disturbate, paura; oppure ferite che generano depressione, destrutturazione e abulia, persino desiderio di suicidio, di farla finita cioè con una vita che non ha, ai loro occhi, alcun senso.

2. Occorre partire dalla coscienza della propria debolezza:
è necessario di quando in quando guardare dentro di noi, alla nostra fragilità. È più facile infatti essere compassionevoli quando si riconoscono la propria fragilità (siamo tutti limitati e coinvolti nella finitezza), le proprie ferite (quante!), i propri errori, quando si è vissuta l esperienza della compassione di Dio. Chi ha imparato soltanto a sentirsi importante, applaudito e bravo, sarà anche propenso a disprezzare con facilità altri, che egli considera esistenze insignificanti, non corrispondenti al suo sistema di valori.

Se si parte da un “io” sicuro e pieno di sé, viene facile allora il giudizio netto e tagliente. Se invece si parte dalla consapevolezza che si è fragili e fallibili, il giudizio è allora più sfumato e più vero. Un educatore deve conoscere abbastanza bene se stesso, anche i propri abissi, la propria povertà, per avere un rapporto equo con l altro e per comprendere che il cuore dell’uomo è complesso e spesso contraddittorio, specialmente nel periodo della adolescenza e della giovinezza. Chi non si conosce in profondità e non si riconosce povero, difficilmente concede fiducia e misericordia, attraverso le quali costruire ponti.

3. La compassione misericordiosa nasce da un incontro.
Un incontro anche con Dio, il quale è Padre di tutti. Scrive un autore contemporaneo: “Nel momento in cui ti rendi conto che il Dio che ti ama senza condizioni, ama tutti gli altri esseri del medesimo amore, ti si apre un modo nuovo di vivere, perché arrivi a vedere con occhi nuovi coloro che vivono accanto a te in questo mondo” (J.H. Nouwen, A mani aperte, 47). La compassione nasce dall’audacia di riconoscere il nostro reciproco destino: andare avanti tutti insieme, verso la terra che Dio ci indica.

4. Per vivere la misericordia può essere utile: partire dal positivo!
Partire dal positivo significa:

  •  evidenziare le doti da sviluppare più che le manchevolezze evidenti;
  • saper incoraggiare più che reprimere o correggere.

Se la mamma insegnando al figlio a camminare, lo rimproverasse tutte le volte che cade… lo renderebbe incapace a muoversi. Tutti abbiamo incontrato nella vita persone che sono capaci di dire solo “no” o che vedono solo il negativo e altre, invece, che cercano i lati positivi per dare una direzione positiva alla loro azione.

Ognuno di noi sa, per esperienza, quanto sia stato importante nella propria vita incontrare persone che ci hanno aiutato ad avere fiducia nelle nostre possibilità e ci hanno spinto a svilupparle. Nella vita si cresce e si migliora quando:

  • non si trovano, quando si sbaglia, sempre e solo dita puntate, giudizi taglienti, certificati di impossibilità a stare nel mondo;
  • ma anche mani amiche che rialzano, persone che aiutano a capire gli sbagli e a superarli.

In fondo non è questa la pedagogia di Dio nei nostri confronti? Punta sul bene e non sul male.

Saper dire: «impegnati in questo campo, perché qui puoi riuscire bene› è assai più efficace che giudicare e rimproverare. L’educatore è chiamato a puntare più sui talenti che sui difetti, più sulle possibilità di crescita che sulle negatività. Inoltre è importante anche interrogarsi sempre sul significato dei “difetti” e degli “errori”: Di che cosa sono espressione? Quale reazione-messaggio sottendono?

5 . Disponibilità a lasciarsi disturbare
L’esercizio della misericordia esige disponibilità, anche a costo di “seccature”. Sull esempio del buon pastore, che “dà la vita” per le sue pecore, l’educatore è chiamato a diventare “padre” e “madre” nello spirito, a generare una seconda volta le persone che gli sono affidate. Una generazione che si esprime nell’aiuto offerto nei momenti di crisi e di difficoltà. Di sua madre Monica sant’Agostino diceva: «Allevò i suoi figli, partorendoli tante volte, quante volte li vedeva allontanarsi da Te». Capita spesso che un educatore si senta dire: «Per fortuna ho incontrato lei in quel momento difficile! I momenti difficili, però, non capitano secondo il nostro orologio, ma secondo i tempi e i modi di coloro che ci vengono affidati.

Perciò la misericordia comporta dialogo e ancora dialogo. E questo richiede disponibilità:

  • a superare l’amarezza che nasce da alcune reazioni che incontriamo nel nostro lavoro;
  • a riprendere sempre la comunicazione;
  • a non essere permalosi,
  • a non legarsela al dito,
  • a sapere dimenticare gli sgarbi.
  • soprattutto è importante curare la comunicazione, avere l umiltà di fare i primi passi per riavvicinarsi. Una comunicazione autentica è decisiva più di ogni tecnica didattica.

6. Non considerare nessuno irrecuperabile.
Per chi condivide la speranza cristiana e crede nella forza dello Spirito nessuno è irrecuperabile, perché lo Spirito non abbandona nessuno: questa era la convinzione dei grandi educatori. Mai disperare!
Quando si è tentati di dire: «Non c’è più nulla da fare››, è bene ricordare che c è da essere misericordiosi. C’è sempre da attendere il ritorno dei figli a casa, come il Padre della parabola evangelica ha atteso il figlio prodigo, e magari, proprio come in quell’esempio, difendendoli dalla durezza dei figli maggiori e dai loro risentimenti.
Un testo poetico parafrasa quella parabola in questa luce:
Non vi ho mandato ai sani.
Incrocerete studenti senza vele

E che volano basso.
Chiedono solo di non fare naufragio.
Non vi turbino i punteggi, le medie.
Un ragazzo vale più della somma
della sue insufficienze:
è il progetto di un’anima,
un frammento di Dio
che vi solca la rotta.

Sono del tutto legittimi gli interrogativi che molti educatori si pongono: Devo essere materno o paterno? Devo lasciar correre o devo intervenire? Di fronte alle molte situazioni inedite, ecco ancora il dono del consiglio: c è da invocare continuamente lo Spirito Santo per quelle innumerevoli situazioni in cui siamo senza direttive prefabbricate o senza soluzioni conosciute. Veni Sancte Spiritus!

– Inoltre, non possiamo dimenticare neppure il compito di educare alla misericordia. Perché è importante tale educazione? Quali le modalità e i rischi? Quali le prospettive? Sintetizziamo la proposta con alcune semplici riflessioni.
a) È importante educare alla misericordia per far crescere persone ricche di umanità. Anche se a molti la parola misericordia non piace, è auspicabile che gli educatori siano misericordiosi nel giudizio, nella comprensione, nell’aiuto… proprio per essere “esempi di misericordia”: che sappiano cogliere in tutte le situazioni l`elemento di sofferenza, di umanità in difficoltà. Spesso alcuni ragazzi e giovani sono incapaci di misericordia perché non hanno mai fatto esperienza di misericordia nei loro riguardi. E forse essi stessi non sono stati mai messi a contatto con le realtà disumane, ingiuste, impregnate di sofferenza.
È perciò un bene mettere i giovani a contatto con la sofferenza altrui. Si tratta di una grande lezione di vita. È dalla “scossa” prodotta dalla scoperta della sofferenza altrui che spesso nasce la compassione, Da questo contatto terapeutico viene intaccata la corazza dell’indifferenza: molti giovani hanno bisogno di essere aiutati a esercitare la loro umanità, spesso atrofizzata dalla società consumistica; messi a contatto, per esempio, con le necessità del terzo mondo, essi aprono gli occhi.
b) Attualità delle “opere di misericordia”, corporali e spirituali. Questa pratica che ci viene dalla tradizione, oggi per lo più dimenticata, può essere riproposta su due piani: sul piano personale, educando a sopportare pazientemente le persone moleste (difficili, complessate), a consolare gli afflitti (stando vicini a chi ha meno doti, è solo, è ultimo), a inserirsi in gruppi attivi nel sociale (iniziative locali, caritas), a vedere i bisogni in famiglia, per dare una mano e non fuggire dai problemi e dalle difficoltà. E sul piano sociale, educando a mettere in .luce positiva le politiche sociali, secondo modalità giuste, come applicazione dell’avevo fame, sete, ero ammalato… L’attenzione agli ultimi sta diminuendo nella nostra società, per tanti motivi: sia per una diffidenza verso gli sprechi e l’inefficienza di chi amministra, sia per una diminuita tensione etica verso gli ultimi, sentiti come concorrenti. Tuttavia, è una dimensione della vita che va ripresa sia come motivazione sia come “mozione degli affetti”.
Oggi sembrano più facili da attuare le opere di misericordia corporali che quelle spirituali sembra più facile riempire i ragazzi di beni che di attenzione. E tuttavia, se andiamo appena oltre la superficie, ci accorgiamo di quanti bisogni “spirituali” siano portatori i più giovani: per esempio, sono affamati di attenzione, richiedono agli adulti capacità di ascolto: «Se mi permetto di comprendere veramente una persona, può darsi che questa comprensione mi faccia cambiare. E noi abbiamo paura del mutamento. Il timore d’essere cambiati è una delle prospettive più paurose che molti di noi possono incontrare, perciò la maggior parte di noi non può ascoltare. Ci troviamo spesso spinti a valutare, perché ascoltare ci sembrerà troppo pericoloso» (Rogers).

c) Educare alla misericordia non sempre “paga” al momento: talvolta l’atteggiamento comprensivo è inteso come debolezza e c è anche chi ne approfitta. Nasce allora in noi la tentazione di ricorrere alle maniere forti. ln tal caso è bene ricordare che la misericordia richiede prospettive lunghe, non si agisce cosi per raccogliere nel periodo breve. E richiede soprattutto di lottare contro molteplici suoi “nemici”. Ne ricordiamo un paio: la facile colpevolizzazione (“i giovani di oggi non capiscono niente!”). Non si tratta di giustificarli, ma di accostarli con “compassione”, che spesso vuol dire com-partecipazione! Ancora una volta: la compassione non è debolezza o giustificazionismo, ma attenzione a tutte le possibili cause scusanti, prima di dare un giudizio di condanna. E anche: dire loro la verità, ma con grande amore e comprensione. Inoltre, la falsa compassione: non basta dire “poverini, poverini!”, e poi giudicarli duramente e trattarli ancora più duramente. Una falsa e ipocrita misericordia può essere talora un pugnale micidiale. Possiamo tradurre in messaggio educativo l’ammonimento che papa Giovanni XXIII rivolgeva un giorno a tutta la chiesa: «La sposa di Cristo preferisce far uso della medicina della misericordia piuttosto che della severità: essa ritiene di venire incontro ai bisogni di oggi mostrando la validità della sua dottrina piuttosto che rinnovando condanne» (Discorso inaugurale del concilio Vaticano II).
d) Non dimenticare la moltitudine dei nuovi poveri. Ricordando l’impegno educativo di san Giovanni Bosco per i giovani, il superiore generale dei Salesiani scrive: «Don Bosco si e sentito chiamato da Dio a curare dei giovani, specie dei più poveri, bisognosi e pericolanti. Allora si trattava di una povertà sociologica frutto della nascente rivoluzione industriale che provocava l’abbandono della campagna e l’emigrazione nelle città per cercare lavoro dove c era, anche se in condizioni di sfruttamento e di un forte shock culturale. Oggi si parla invece delle nuove povertà dei giovani per indicare tutte quelle situazioni di abbandono in cui si possono trovare o cadere. Rimane comunque il fatto che la povertà socioeconomica è la più grave perché va sempre preceduta, accompagnata o seguita da altre forme di povertà inimmaginabili. Qui come in tante altre cose, purtroppo, la realtà supera la fantasia».
Nasce cosi l’impegno a rispondere mese per mese all’appello lanciato dai ragazzi di strada, dai bambini soldato, dalle vittime del turismo sessuale, dai lavoratori schiavizzati, dai ragazzi che sono “nessuno”, dai carcerati, dai donatori forzati di organi, dai poveri ed emarginati, dai rifugiati e orfani, dai malati, dai vaganti o da quelli che vivono addirittura nelle fogne.

E per finire, un possibile decalogo dell educatore misericordioso:
1. Tiene presente, per quanto possibile, la situazione concreta di ogni giovane.
2. Dà valore all’ascolto, per rispondere alle vere necessità dei giovani, alle vere domande, non alle domande preconfezionate.
3. Sa aiutare, senza avere il “senso di superiorità del benefattore”: pro-esistenza gratuita.
4. Accetta il fallimento educativo, come momento di crescita sia dell’educatore, che si esamina, che si affina, che diventa umile e servo, sia del giovane, che può ripensare alle sue scelte.
5. Parte sempre dal presupposto che la bottiglia sia “mezza piena” e non “mezza vuota”: il segreto dell’aggancio educativo è convincersi che i giovani hanno grande capacità di recupero, anche quando sono esasperanti per le discontinuità e imprevedibilità, frutto del bisogno di definirsi.
6. Sa che spesso il giovane ha più bisogno di appoggio che di soluzioni prefabbricate.
7. Educa i giovani alla comprensione dei vicini e dei lontani, come premessa di un’etica nuova planetaria.
8. Dice ai giovani la verità, ma nella comprensione delle
loro difficoltà: essi hanno bisogno d`essere corretti, anche vigorosamente, ma senza ira.
9. Li allontana, per quanto possibile, dai cattivi maestri che dicono il falso o nascondono parte della verità per viltà.
10. Persegue l ideale della “ persona completa”, cioè competente, capace di compassione e ben educata alla solidarietà.

Il Sal 41,2, «Felice l uomo che ha cura del debole e dell indigente>>, ci aiuta a trasformare in preghiera il messaggio della Beatitudine sulla misericordia: essere misericordiosi È una Beatitudine che può iniziare già qui e ora, perché ci tocca nella radice profonda della nostra umanità, nella nostra vulnerabilità e fragilità, ma ci impegna anche alla solidarietà. Essa può essere vera Beatitudine “cristiana” se invocata nella preghiera come dono dall’alto: Veni Sancte Spiritus, con il tuo dono del consiglio, perché sappiamo essere misericordiosi!

+ Francesco Cavina, Vescovo