Meditazione all’incontro nazionale dell’Unitalsi

11 gennaio 2019
12-01-2019
        San Pietro, dopo avere vissuto per un certo tempo con Gesù, sente il bisogno di porgergli una domanda inerente il suo futuro e quello dei suoi compagni. «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito!» (Mc 10,28). L’evangelista s. Matteo aggiunge: che sarà dunque per noi. Si tratta di un interrogativo che sicuramente qualche volta è emerso pure nel nostro cuore anche se, forse, con sfumature diverse: “Vale la pena seguire il Signore? Che cosa ne ricavo in cambio? Le difficoltà che devo affrontare non sono maggiori del guadagno che ne posso avere? Dove mi conduce il Signore? La questione posta da Pietro deve avere avuto un grande impatto sulla vita dei dodici dal momento che tutti e tre i vangeli sinottici (Marco, Luca e Matteo) riportano l’episodio e la risposta di Cristo, seppure con piccole varianti.
Vangelo di san Marco: «In verità vi dico: non c’è nessuno, che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o campi a causa mia e a causa del Vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e fi gli e campi, insieme a persecuzioni» (Mc 10,29- 30). L’evangelista san Luca (Lc 18,28-30) ha la variante: che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà e san Matteo aggiunge: «e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,28-29). Le parole del Signore appaiono molto chiare: la sequela di Cristo inizialmente comporta rinunce molto difficili, tuttavia esse si possono affrontare perché Gesù promette di dare il centuplo di quanto si possedeva prima di seguirlo. Ma in che cosa consiste questo centuplo?
Prima di rispondere a questa domanda è necessario chiederci: Che cosa significa seguire Gesù? Nel Vangelo di Giovanni si racconta che la folla, dopo avere ascoltato la predicazione di Gesù, gli pone la seguente domanda: “Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio”. Si tratta di una domanda sempre attuale e che noi possiamo attualizzare in questo modo: “Che cosa devo fare per essere un buon cristiano? Un bravo marito, una brava moglie, un bravo figlio, una brava Dama, un bravo Barelliere…?”. La risposta di Gesù è concisa, ma chiara e precisa: “Credere a colui che egli [Dio] ha mandato”. Il verbo “credere”, che Gesù usa, è il verbo della fede. Ebbene, il Signore afferma che credere, avere fede non significa principalmente dare il proprio assenso ad una dottrina, ma riconoscere una Presenza, la Presenza di Cristo.
Nella Messa del giorno di Natale la Chiesa off re alla nostra riflessione il Prologo del Vangelo di Giovanni. Questo bellissimo testo per dirci chi Gesù parte da molto lontano, dal mondo stesso di Dio: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. Poche parole per rivelarci che Cristo è da sempre presso Dio ed è Lui stesso Dio. Ebbene, l’apostolo Giovanni, dopo averci detto che Cristo vive presso Dio ed è Lui stesso Dio, narra un evento inaudito e umanamente inconcepibile: il Verbo, che è Dio come Dio, “si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”.
Queste parole non sono il frutto della fervida fantasia di un intellettuale, ma comunicano un’esperienza di vita. Rappresentano la testimonianza di un pescatore, di nome Giovanni, che fu attratto, quando era ancora giovane (forse aveva 20 anni), da Gesù di Nazareth e con il quale ha vissuto gomito a gomito per tre anni e, dunque, ne ha conosciuto l’amore, ne ha ascoltato la Parola, ne ha visto i miracoli che compiva; è stato testimone della sua morte e della sua resurrezione… Sono stati anni così intensi, straordinari, pieni di gioia, così ricchi di amore che San Giovanni sente il bisogno di condividere quello che egli ha vissuto anche con noi. Con parole appassionate scrive: Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato… noi lo annunziamo a voi…
La contemplazione noi la associamo sempre a un evento straordinario che accade a una persona, per Giovanni, invece, si risolve in uno “stare di fronte all’evidenza dei fatti” (Von Balthasar). In altre parole, San Giovanni, stando ai fatti, cioè riflettendo su quello che ha udito, visto e toccato giunge ad un’intima certezza: Gesù non è solo un uomo straordinario, fuori dal comune, ma è anche il Figlio di Dio, è il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna che era presso il Padre e si è resa visibile a noi) (1Gv 1. 1-4). Il solo sapere che Dio c’è, che Dio esiste non serve a nulla.
Noi abbiamo bisogno di sapere “Chi è Dio”. Noi non avremmo mai potuto conoscere “chi è Dio” se il Verbo non si fosse fatto uomo per svelarci il volto di Dio: un Padre buono e fedele. S. Agostino ci aiuta a comprendere la differenza che esiste per la vita sapere che “Dio c’è” o sapere “Chi è Dio”. Egli nelle Confessioni scrive: io sapevo che la felicità è Dio, ma ero assolutamente incapace di godere della felicità che è Dio finché non abbracciai “umile l’umile mio Dio Gesù” (cfr. Confessiones VII, 18,24).
L’uomo può anche sapere che Dio è la felicità, ma non ne può godere se Dio non si fa carne, così da poterlo vedere, ascoltare, toccare, abbracciare. Cerco di spiegarmi meglio con un esempio. Io posso volere bene ad una persona, ma il mio volerle bene rimane invisibile fi no a quando non si trasforma in un sorriso, in una carezza, in un abbraccio, in una parola… Solo allora la persona a cui voglio bene si sentirà amata. Il sorriso, la carezza, l’abbraccio, la parola esprimono, dunque, ciò che di per sé non è visibile. Per godere di Dio, dunque, non basta sapere che esiste, ma è necessario che egli si renda visibile (si fece carne) per essere abbracciati da Lui e godere della sua Presenza come i Pastori, i Magi, Giuseppe e Maria, gli apostoli…
Nella vita cristiana è presente un pericolo gravissimo, sebbene impercettibile. Invece di riconoscere una Presenza reale che agisce e attrae, il cristiano ha la pretesa di essere lui a generare quella presenza. Ma agendo in questo modo noi rendiamo inutile la testimonianza dei discepoli. É come se dicessimo che gli apostoli non hanno visto, né toccato né mangiato con Gesù risorto, ma si sono convinti della sua resurrezione attraverso la riflessione. É la fede ridotta a gnosi, a idea, a pura speculazione intellettuale. Gli apostoli e le donne, invece, poiché dopo la morte di Gesù, lo hanno visto con i loro occhi, lo hanno toccato con le loro mani, hanno mangiato con Lui, hanno proclamato la sua resurrezione con il Suo corpo. L’incontro con Cristo, proprio perché è incontro con una persona, è un fatto che: – avviene in un tempo preciso ed in un luogo determinato (mentre Zaccheo è su una pianta, mentre Andrea e Pietro stavano pescando, mentre la donna samaritana va ad attingere acqua al pozzo, e così via); – è imprevedibile (Zaccheo mai si sarebbe aspettato che Gesù lo chiamasse per nome! Paolo è chiamato proprio nel momento in cui andava ad imprigionare i cristiani!); – non è programmato (la samaritana faceva quel tragitto da casa al pozzo tutti i giorni); – è improvviso perché Egli solo ne ha l’iniziativa: il primato della grazia! – è un incontro che sconvolge tutta la vita. Zaccheo dopo avere incontrato il Signore Gesù ha capito che la risposta al suo desiderio di bene, di pienezza, di gioia non era nel denaro, ottenuto con tutti i mezzi, anche rubando, ma la risposta era Gesù, lo stare a tavola con Lui. Paolo ha capito che tutta la sua felicità consisteva nel conoscere Lui, nello stare con Lui. Pietro ha capito che non sarebbe più riuscito ad andare da nessun’altra parte, poiché sapeva che solo Lui aveva parole di vita eterna. San Francesco pregava: «Mio Signore e mio tutto». Ecco: questa è la sequela di Cristo. Dopo che il Signore ti ha incontrato tu non puoi più vivere senza di Lui, non puoi più vivere come prima; e questo nonostante i tuoi limiti, il tuo peccato, le tue insicurezze, i tuoi tradimenti. Cristo è «sentito» come la risposta vera e totale al proprio desiderio illimitato di felicità, di senso. Ecco una modalità con cui si esprime il centuplo in questa terra.
Il centuplo subito
Zaccheo, Paolo, Francesco, la Samaritana, Agostino, Bernardette…hanno ricevuto il centuplo subito. Né poteva essere diversamente. Infatti, la presenza di Cristo nella vita di una persona guarisce l’umanità decaduta a causa del peccato e la dilata fi no alle sue estreme possibilità per farla partecipe del DioUomo. L’incontro con Cristo fa nascere in pienezza nell’uomo “l’io” e questo ci permette di sentire il respiro dell’eternità nell’Amore umano. Perché l’incontro con Cristo eleva alla massima potenza l’io? Perché decidendo di seguire Cristo, io decido di me stesso in ordine al mio destino eterno. Seguendo Cristo mi pongo nel tempo come un io destinato all’eternità. Ecco la promessa della vergine Maria a Santa Bernardetta. Possiamo comprendere tutto questo riflettendo su un dialogo fra Gesù e i discepoli, avvenuto dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci (cfr. Gv 6,67-70).
Cristo sta vivendo un momento drammatico del suo ministero pubblico. La folla lo ha abbandonato perché non vuole un “cibo che dura per la vita eterna”, in quanto si sente appagato dai beni materiali. Anzi, per essere più precisi, non accetta che il “cibo che dura per la vita eterna” sia la persona di Cristo. La crisi che investe la folla è così profonda che Gesù è costretto a porre ai discepoli una domanda terribile: Forse anche voi volete andarvene? Si tratta di una domanda che provoca direttamente la loro libertà nei confronti di Cristo e li pone di fronte all’alternativa: rimanere con lui o “tirarsi indietro”? Ma questa decisione da prendere nei confronti di Cristo era, in realtà, una decisione riguardante loro stessi. Infatti, la loro vita cambiava, il loro io si sarebbe configurato in modo diverso a seconda della scelta di andarsene o di rimanere. «Gli rispose Simon Pietro: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna». La ragione della decisione di Pietro di non andarsene è motivata dal suo desiderio di “vita eterna”; dalla sua volontà di non abbassare la misura del suo desiderio, rinchiudendo il proprio io dentro al tempo.
A Pietro non bastava il pane che era stato moltiplicato. Alla Samaritana non bastava l’acqua del pozzo. L’uno e l’altra desideravano un “pane che dura per la vita eterna” e un’acqua che disseta per sempre. Solo Cristo ha parole di vita eterna! L’io che vuole essere eterno non si tira indietro da Cristo. Alla luce di quanto detto mi permetto di evidenziare tre ambiti nei quali emerge il centuplo nel presente. 1. Il Signore non è l’avversario o il concorrente della felicità dell’uomo, ma ne è il garante perché l’uomo che incontra Cristo vede la propria umanità restituita alla sua originaria verità e bellezza. Gioca nella nostra stessa “squadra”. Gesù, infatti, è l’uomo perfetto, cioè la piena realizzazione dell’umano. Rappresenta l’uomo che è perfettamente uomo e, pertanto, “chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, si fa lui pure più umano” (GS 41). Grazie a Cristo l’uomo viene “rimesso a nuovo”, diviene più bello e pulito. Per usare il linguaggio della tradizione cristiana, si può dire che in Cristo l’uomo, immagine di Dio, è restituito alla sua bellezza primitiva.
Ha detto papa Benedetto XVI: … dove entra il Vangelo – e quindi l’amicizia di Cristo – l’uomo sperimenta di essere oggetto di un amore che purifica, riscalda e rinnova, e rende capaci di amare e servire l’uomo con amore divino (Ai vescovi italiani, 24.5.2012). 2. L’elevazione dell’io che avviene nella sequela di Cristo coinvolge la mia ragione e la mia volontà. L’intelligenza e la ragione umana vengono “centuplicate” perché rese capaci dalla fede di penetrare nel mondo di Dio e comprendere il senso ultimo di tutto ciò che esiste, primo fra tutti di comprendere il perché del mio esistere, del mio soffrire, del mio gioire, del mio lavorare, del mio amare e del mio morire. La ragione senza la fede è uno strumento conoscitivo incompleto. L’incontro con Cristo ci dà la capacità di accogliere la rivelazione del destino dell’uomo da parte di Dio che lo ha creato. Tutte le verità di fede che la Chiesa propone hanno un unico grande motivo: annunciare che il soprannaturale fa irruzione nella banalità dell’esistenza quotidiana, che Dio interviene nella storia umana. L’uomo che non vuole essere un io eterno, finisce per «passare la sua vita nella temporalità, essere l’uomo che appare, essere elogiato dagli altri, onorato e stimato, dedito a tutti gli scopi temporali. Ciò che si chiama mondanità consiste tutta in tali uomini, i quali per così dire vendono la loro anima al mondo. Essi adoperano le loro facoltà, ammassano quattrini, esercitano attività mondane, fanno calcoli prudenti e così via, sono forse nominati dalla storia; ma non sono se stessi, non hanno, in senso spirituale, nessun io per amor del quale possano arrischiare tutto, nessun io davanti a Dio» [S. Kierkegaard, ibid., pag. 637]. 3.
Anche la volontà viene arricchita dall’incontro con Cristo. Essa viene resa capace di amare come Cristo ha amato. Acquista la libertà del dono. L’incontro con Cristo genera la carità cristiana. Dà origine ad una convivenza nuova fra le persone. Nell’incontro con Cristo l’uomo riceve subito il centuplo perché, come dice san Tommaso, vive in pienezza il tempo nel quale già respira l’eterno. Ma come è possibile oggi fare l’esperienza dell’attrattiva di Gesù? Vivendo la Chiesa. La comunità cristiana – pur con tutti i limiti legati alle persone – è capace di educare alla vera libertà, perché in essa è possibile riconoscere che Cristo è tutto ciò che il cuore dell’uomo desidera. É necessario correre il rischio di immergerci dentro la Chiesa. Appare evidente che il Corpo ecclesiale, in quanto vive nella storia, nutrito dai sacramenti e dalla Parola di Dio e testimone di amore, è il reale punto di riferimento per chi vuole ricercare Cristo.
La Chiesa non inventa nulla, la Chiesa “custodisce santamente” e propone ciò che ha ricevuto dal suo Fondatore. Per mezzo della Chiesa io ricevo il Signore. La Chiesa infatti non ha la missione di offrire al mondo “un discorso”, ma Qualcuno.
+ Francesco Cavina