Editoriale del n. 33 del 28 settembre 2014

Giovani, disoccupazione e riforma del lavoro
Dove eravate e dove siete
di Luigi Lamma

Avanza spedito il progetto di credito agevolato “Fides et labor” fortemente voluto dal vescovo di Carpi, monsignor Cavina, per sostenere chi vuole intraprendere un’attività professionale in proprio, un ulteriore aggiornamento è previsto nei prossimi giorni. In attesa che la politica esca dall’immobilismo sul fronte della riforma del lavoro si tratta di un segnale di fiducia per far fronte allo sconforto dei numeri della disoccupazione e di quella giovanile in particolare.
L’ultimo caso più clamoroso in provincia di Modena riguarda lo stabilimento della Coca-Cola di Campogalliano e più in generale il piano di riorganizzazione in Italia della multinazionale: 300 esuberi in totale e mobilità per tutti i 57 dipendenti della sede modenese (prevalentemente donne che svolgono servizi telefonici per i clienti) con il ricorso a vari ammortizzatori sociali. In sostanza la fabbrica chiude e tutti a casa senza stipendio nel giro di un anno. Così va il mondo del lavoro privato oggi, l’Italia per le aziende e per gli investitori non presenta condizioni appetibili, troppe tasse, troppi vincoli e troppo alto il costo del lavoro, per le stesse ragioni per i nostri imprenditori è sempre più difficile reggere la concorrenza internazionale, per non parlare della flessione del mercato interno. Altro che articolo 18 e licenziamenti per giusta causa, qui si licenzia perché si chiude, e in questi casi c’è poco da reintegrare. Gli italiani, quelli che alla mattina si svegliano e devono arrabattarsi per trovare un lavoro o devono correre per mantenere quello che hanno o devono fare i salti mortali per far quadrare i bilanci della propria azienda o vivono con l’incubo di trovare i cancelli della fabbrica chiusi, non possono che essere d’accordo con il presidente del consiglio Matteo Renzi quando sostiene che i sindacati e i loro alleati politici di sinistra hanno condotto negli ultimi anni battaglie ideologiche anziché pensare a risolvere i problemi reali dei lavoratori e dei disoccupati, dei giovani in particolare.
C’è un altro passaggio della piccata risposta del Premier alla Cgil che vale la pena sottolineare e che riguarda la dicotomia ormai insostenibile tra un pubblico impiego super tutelato a fronte di milioni di lavoratori precari e giovani impossibilitati a costruirsi un progetto di vita. Questa è la realtà, purtroppo, con i dipendenti pubblici che oggi sono i veri “ricchi” in quanto hanno il lavoro sicuro, lo stipendio certo il 27 del mese. Dagli uscieri ai dirigenti, tutti con il posto fisso, raramente valutati secondo criteri di merito, i secondi poi godono spesso di premi a pioggia non si sa per quali brillanti performance, così si continuano ad alimentare sacche di improduttività e di inefficienza. Lo sciopero indetto dai sindacati per lo sblocco dei contratti del pubblico impiego (quindi con la richiesta di aumenti di stipendio) in questo momento di crisi e con milioni di italiani con lo spettro della povertà appare uno sberleffo insopportabile, la prova effettiva di quanto le organizzazioni sindacali stiano progressivamente perdendo credibilità. Ecco perché viene da dare ragione a Renzi, ampliando la provocazione: “Sindacati e affini della sinistra che ostacolate ogni riforma dove eravate…e dove siete”? Nel dibattito di questi giorni è stato più volte ricordato che per riformare il lavoro in Italia c’è stato chi ha pagato con la vita, a cominciare da Ezio Tarantelli, poi Massimo D’Antona, poi Marco Biagi. E’ un dato inquietante. Si riuscirà prima o poi a liberarsi da zavorre ideologiche che finiscono per armare i più estremisti? Si riuscirà a dare risposte, che forse non saranno risolutive ma almeno rappresentano un tentativo di applicare anche alle regole del lavoro i principi di equità e di uguaglianza tra i cittadini? Al 43,7% di giovani disoccupati (dati Istat di giugno, livello record dal 1977) è urgente offrire una prospettiva di vita, un motivo per continuare a voler bene al loro Paese. Chiesa e società civile per quanto attente e generose non possono sostituirsi alle responsabilità della politica.