I ricordi delle figlie di Mamma Nina sul rapporto di affetto e di comunione che sempre la unì al fratello don Zeno
Ah per me Mamma Nina è un colosso… Quella è stata un’Opera divina… senz’altro è stata una grande donna, una grande santa. ‘Una piaga’ la chiamavo io. Piaga perché quando ero ragazzino la facevo tribolare e lei piangeva perché si arrabbiava con me… Da noi piaga vuol dire che piangi per niente, tenera. Invece, caro mio, era robusta, altro che storie. Poi aveva delle luci sue, si vedeva proprio che aveva delle luci. Di me aveva molta fiducia…”. Così in una sua testimonianza, nel 1980, don Zeno parlava della sorella maggiore Marianna, la Venerabile Mamma Nina, a cui lo unì sempre un profondo vincolo di affetto fraterno ma anche una comunione di spirito e di intenti. E’ per questo che la mostra diffusa “I luoghi di don Zeno” ha una delle sue sedi anche alla Casa della Divina Provvidenza, presso il sacello che ospita le spoglie mortali della Venerabile.
Una comunione spirituale, dunque, per cui il solco tracciato da don Zeno con l’Opera Piccoli Apostoli a San Giacomo Roncole fece da apripista per lo sviluppo di quella “intuizione” che Marianna ebbe dopo essere rimasta vedova. Da parte sua, Mamma Nina diceva che la Divina Provvidenza e la carità le aveva imparate da don Zeno. Come, infatti, Gesù procurava ogni giorno ai Piccoli Apostoli il necessario, così, secondo un’espressione cara a Mamma Nina, Lui stesso “mette sempre a tavola le mie bambine”.
La visione di San Francesco a San Giacomo Roncole
La mostra allestita alla Casa della Divina Provvidenza ha offerto l’occasione per far parlare i ricordi di Sorella Anna e di alcune figlie di Mamma Nina. Innanzitutto, fu proprio a San Giacomo Roncole che si verificò la celebre visione di San Francesco d’Assisi rievocata tante volte, con commozione, da Mamma Teresa – che diede l’impulso a Marianna nel fondare una propria realtà di accoglienza delle bambine in condizioni di disagio e di abbandono. “Nel 1931 Mamma Nina, vedova, con tre dei suoi figli, si trasferì a San Giacomo Roncole per accudire la casa di don Zeno, che era vicario parrocchiale – raccontano Sorella Anna e le altre -. Partecipò all’impegno del fratello per cercare di dare una famiglia ai ragazzi che l’avevano persa. Lei stessa aveva iniziato ad accogliere le prime bambine. Si trasferì poi al ‘casinone’ dove sostenne i Piccoli Apostoli, prendendosi cura di loro, e l’apostolato di don Zeno. Una mattina, mentre era in cucina, la stanza si inondò di luce. Le apparve San Francesco, seguito da un fraticello che le rivelò la via che Gesù la chiamava a percorrere”. Non esistono né scritti né testimonianze al riguardo, tuttavia, sottolineano le figlie di Mamma Nina, “è presumibile pensare che don Zeno fu fra i primi confidenti a cui la sorella raccontò la visione e la indirizzò nel seguire la sua particolare chiamata”.
Il duro olocausto lontano dal sacerdozio: “don Zeno sa quello che fa”
Quando Mamma Nina morì il 3 dicembre 1957, don Zeno stava attraversando il doloroso momento della riduzione allo stato laicale
e non fu tra il clero al funerale della sorella. Ma, come si legge in una lettera inviata al fratello don Vincenzo pochi giorni dopo le esequie, seguì la celebrazione e ne rimase profondamente edificato per la testimonianza di santità lasciata dalla sorella alla cittadinanza e per la stima e l’affetto collettivi a lei dimostrati.
“Alcuni anni dopo, finalmente riabilitato al ministero sacerdotale, don Zeno partecipò all’esumazione della salma di Mamma Nina dalla tomba al cimitero cittadino – raccontano Sorella Anna e le altre -. Si conserva, al riguardo, una fotografia di don Zeno che pronuncia l’omelia davanti al feretro della sorella in Cattedrale. Inoltre, fu presente varie volte, quando, subito dopo il matrimonio, le figlie di Mamma Nina, vestite da spose, si recavano, per perpetuare una sorta di tradizione, al luogo dove si trovava la sua tomba al cimitero di Carpi per un momento di preghiera”. Al “duro olocausto” vissuto da don Zeno – come lui stesso lo definì – per la sospensione dal sacerdozio, “la sorella partecipò pregando intensamente per lui”, ricordano le figlie di Mamma Nina, sottolineando che la Venerabile, “poiché rifuggiva dai pettegolezzi e dalle mormorazioni, ripeteva ‘don Zeno sa quello che fa’”.
Una persona di famiglia, sempre presente
Don Zeno visitava regolarmente la Casa della Divina Provvidenza, quando Mamma Nina era in vita, ma anche in seguito. Mamma Teresa, come riporta Sorella Anna, ricordava come il sacerdote avesse celebrato più volte la messa nella cappella della Casa: alle bambine rivolgeva l’omelia con quello stile da appassionato oratore che lo contraddistingueva. “Allora, essendo così piccole, non riuscivamo forse a comprendere bene il significato profondo di quello che ci diceva – raccontano le figlie di Mamma Nina -. Però era un evento speciale quando veniva da noi, una persona di famiglia. Se con don Vincenzo, che era il direttore spirituale della Casa, Mamma Nina aveva un po’ di soggezione, con don Zeno c’era un rapporto, per così dire, più alla pari e, quando lo riteneva necessario, era molto franca con lui”. Bello – e da continuare ad alimentare anche oggi il rapporto di amicizia instauratosi da sempre con i nomadelfi, “li consideriamo e sono i nostri fratelli – concludono Sorella Anna e le altre -. Siamo davvero liete che la Casa della Divina Provvidenza ospiti la mostra e dia così il suo contributo a far conoscere Nomadelfia nella sua storia e per come vive oggi”.
Dall’archivio di Nomadelfia, la lettera di don Zeno a don Vincenzo dopo il funerale della sorella. Un vivo ringraziamento, per aver fornito informazioni e documenti sul rapporto tra don Zeno e Mamma Nina, va a Francesco di Nomadelfia, già presidente della comunità e oggi curatore del ricchissimo archivio. Per quanto riguarda la visione di San Francesco a San Giacomo Roncole, precisa: “Non sappiamo cosa successe subito dopo.
Penso però che don Zeno cercasse una figura materna per i suoi ragazzi e quindi la partenza di Mamma Nina rappresentò per lui una sofferenza. E nel 1943 era nata una proposta di unire le opere dei tre fratelli, don Vincenzo, don Zeno e Mamma Nina, nel ‘Pranzinianum’, chiamato così in onore del Vescovo Pranzini. Un progetto di cui rimase solo lo scritto…”.
Fra i documenti conservati nell’archivio di Nomadelfia e segnalati da Francesco, c’è la bellissima lettera scritta da don Zeno a don Vincenzo per la solennità dell’Immacolata 1957, qualche giorno dopo il funerale di Mamma Nina, di cui riportiamo di seguito uno stralcio. Parole che esprimono perfettamente l’ammirazione che il fondatore di Nomadelfia nutriva per la sorella. “Credo di non esagerare pensando che Mamma Nina rimarrà viva nel popolo come la santa della Città di Carpi. Io ho osservato
molte cose durante i suoi giorni di presenza, già morta; ed era viva più che mai in tutti. Ha reso Dio tangibile veramente come ‘sorgente d’acqua viva’ anche nelle vie della Città, anche al Cimitero. Ha dimostrato che il popolo ha sete e bisogno di santi. Anche noi che le siamo fratelli, per cui ci è meno facile scorgere nei fratelli la santità per tutte le ragioni dovute alla familiarità, la vediamo una grande santa. Tutto il mondo ha bisogno di Lei, e Carpi saprà sentirla, vivissima. Secondo me ha saputo vivere l’essenza del Cristianesimo dalle cose più insignificanti alla contemplazione del Paradiso, facendosi sentire immediata e plastica a tutte le anime di qualsiasi tempo e convinzione; donde la Sua immensa sapienza”.
Virginia Panzani
Don Zeno e il feretro di Mamma Nina in Cattedrale per l’esumazione dal cimitero (1965, dal volume “Madre oltre i confini”, catalogo della mostra fotografica nel 50° anniversario della morte di Mamma Nina, 2007)
Mamma Nina e don Zeno al matrimonio del fratello, l’avvocato Giovanni Saltini, con la sposa Maria Teresa (27 dicembre 1941, Archivio di Nomadelfia)