Nomadelfia – Farci fratelli del mondo

Nazzareno e Clara, giovani sposi di Nomadelfia, raccontano come si sono conosciuti, come è avvenuta la scelta di vivere a Nomadelfia e cosa significa aprire la famiglia all’accoglienza
La famiglia nel progetto di Nomadelfia pensato da don Zeno è l’elemento centrale di ogni modello di società. Dalle mamme di vocazione, ai padri di elezione, agli sposi che vivono l’accoglienza, tutta l’esperienza dei Nomadelfi ruota attorno alla famiglia e ai nuclei familiari. Abbiamo incontrato due giovani sposi, Nazzareno e Clara, che hanno coronato il loro sogno di costituire una famiglia e di realizzarlo all’interno della comunità di famiglie di Nomadelfia.
Innanzitutto come vi siete conosciuti?
Nazzareno: “Eravamo ragazzi, quando ci siamo conosciuti. Io avevo 17 anni, sono nato e cresciuto a Nomadelfia, ma quando ci siamo incontrati ero in un periodo di piena ribellione contro tutto quello che mi circondava. Clara invece è arrivata a Nomadelfia come ospite insieme alla sua famiglia per qualche giorno”.
Clara: “Avevo 15 anni e non mi interessava minimamente dove fossi e nemmeno me ne resi conto: a quell’età andare in giro con la famiglia non mi piaceva, probabilmente se avessi fatto questa esperienza con la mia parrocchia sarei stata molto interessata al luogo dove mi trovavo. Nonostante questo ci siamo conosciuti e in breve abbiamo iniziato prima a scriverci e poi a fare lunghe telefonate. Ma nel tempo entrambi ci eravamo detti che non volevamo assolutamente restare a Nomadelfia”. 
Nazzareno: “Lei abitava a Bologna e veniva a trovarmi a Nomadelfia ogni volta che poteva durante le vacanze. Io le ho sempre parlato del desiderio che avevo in cuore di poter fare un’esperienza missionaria in Africa per potermi rendere utile. Appena finita la maturità decisi di partire per il Camerun in una missione salesiana, prima per 6 mesi che si prolungarono fino a fare quasi 2 anni in terra africana”. Clara: “In quel periodo di lontananza ancora più complicata, ho passato dei periodi festivi a Nomadelfia senza la presenza di Nazzareno. In quei momenti ho iniziato a capire con gioia che forse poteva essere possibile una vita diversa oltre quella che mi ero sempre immaginata per me, nella mia città che mi piaceva tanto e nei miei ambienti che sono sempre stati positivi per me”.
Come è avvenuta la scelta di Nomadelfia?
Nazzareno: “Dopo qualche mese passato a vivere a Nomadelfia Clara mi ha raggiunto in Africa dove abbiamo condiviso assieme gli ultimi 6 mesi di missione. Lì abbiamo avuto modo di confrontarci e pregare molto. In quella magnifica terra africana siamo stati entrambi molto colpiti dalla palese ingiustizia di un mondo che permette l’opulenza di pochi a scapito della sofferenza di molti. Partendo per la missione pensavamo che avremmo fatto la differenza portando aiuto e sollievo, ma in realtà è stato molto di più ciò che abbiamo ricevuto, soprattutto dai bambini che abbiamo incontrato. Abbiamo capito che era necessaria ovunque nel mondo quella nuova civiltà che Gesù è venuto a portare, in cui tutti ci sentiamo fratelli di tutti perché figli di un unico Padre. Civiltà in cui non esiste l’indigente perché il fratello si preoccupa del benessere del fratello, non esiste lo sfruttato o il padrone perché ogni essere umano ha la stessa dignità e non c’è l’orfano perché ogni bambino è un dono di Dio e tutti, babbi e mamme, hanno il dovere di amarlo per quello che è. Siamo quindi tornati dall’Africa con il profondo desiderio di sposarci e spendere la nostra vita per farci fratelli del mondo in Nomadelfia, impegnandoci tutti i giorni a vivere questa nostra vocazione con gioia e coraggio mettendo sempre al primo posto le persone che il Signore mette sulla nostra strada”.
Cosa significa aprire la famiglia all’accoglienza?
Clara: “Come famiglia ci siamo aperti alla vita accettando tutti i figli come dono del Signore e donando loro l’amore di cui hanno bisogno pur nelle nostre difficoltà e con i nostri difetti. In questo siamo aiutati da tutti i babbi e le mamme di Nomadelfia, con i quali viviamo un rapporto di condivisione e di fiducia nell’educare e curare i nostri figli, che sono figli di tutti. Al momento nella nostra famiglia sono presenti 6 figli, ma in realtà lo sono tutti i bambini del mondo. Quando si capisce nel profondo che siamo tutti fratelli e figli di un unico Padre, diventa più semplice accogliere chiunque ne abbia bisogno. Non abbiamo accolto solo un figlio che aveva la necessità di una famiglia, oltre a tutti quelli che sono nati e che potrebbero nascere, ma abbiamo anche l’onore di accogliere tutte le persone che incontriamo nel cammino della vita. Prendere un figlio in casa che ha il bisogno urgente di famiglia forse non diventa più difficile che accogliere veramente le persone che ti risultano scomode nella vita di tutti i giorni. Nel primo incontro con tuo figlio, che sia nato o rinato, c’è sempre una grande emozione. Non sai se veramente sarai in grado di dare il meglio per lui ma sai che ci proverai sapendo che non sarà facile, e che quel che conta non è solo l’educazione che riuscirai a dargli o il buon esempio, ma l’amore con cui riesci a fare queste cose. Noi abbiamo avuto la grazia di aver ricevuto sull’altare nostro figlio direttamente dalle mani del Papa, e in quell’occasione abbiamo rivissuto i momenti e le emozioni del suo arrivo e dei primi giorni insieme a noi. Le difficoltà sono all’ordine del giorno, ma il Signore quando ti mette su una strada poi ti dà la forza di percorrerla tutta”.