Giovedì 13 febbraio in Seminario vescovile i volontari dei centri d’ascolto e delle Caritas parrocchiali, alcuni membri di Porta Aperta e del Centro di aiuto alla vita di Carpi e Mirandola hanno partecipato all’incontro organizzato da Caritas diocesana sul tema “La relazione d’aiuto e il lavoro progettuale”. Significativa e arricchente la presenza, tra gli operatori di san Possidonio, di un volontario originario del Marocco, musulmano, che collabora attivamente con il centro d’ascolto della parrocchia offrendo il suo servizio anche come mediatore culturale.
A tenere l’incontro, con competenza e simpatia, il giovanissimo Giacomo Angeloni dell’Ufficio pace, mondialità e volontariato giovanile della Caritas della Diocesi di Bergamo. Una realtà, la sua, con 215 centri d’ascolto nella parrocchie e uno diocesano, quattro mense, cinque dormitori, per un servizio di accoglienza e prossimità che coinvolge più di ottanta volontari.
“Non bisogna essere laureati in ‘Caritas’ per fare del bene: ciascuno ha in sé una capacità di cura da tirare fuori”, ha osservato a mo’ di premessa, facendo riferimento all’esperienza personale dell’aiuto. “Aiuto sono i buoni consigli ricevuti, quando l’altro ci offre un punto di vista su come risolvere i problemi. Ma l’aiuto funziona – ha proseguito – se la persona segue i buoni consigli, cosa che spesso non avviene”. I servizi socioassistenziali invece, a livello legislativo “considerano l’aiuto un bene da offrire a chi ha un bisogno e questo rischia di alimentare un approccio assistenzialistico”.
La scelta della Chiesa nel post Concilio, con la riflessione di Paolo VI su questo, ci aiuta a capire che “ai poveri bisogna voler bene, metterli al centro, togliendosi di dosso ogni pregiudizio”. Per far sì che la persona si senta accolta, “non possiamo trincerarci dietro le scrivanie del nostro ufficio, dietro l’ente che rappresentiamo, dietro il potere di dire sì o no al bisogno dell’altro. Dobbiamo eliminare dal momento dell’ascolto e dell’incontro – ha precisato – la scelta se erogare o no un servizio”. Solo in questo modo possiamo tentare di costruire una relazione autentica, fondata non sulla dipendenza dall’aiuto, ma sulla volontà condivisa di liberare dalla povertà. Ancora, occorre saper com-patire, “far capire che la sofferenza che l’altro ci ha raccontato la condividiamo ma, con umiltà e coraggio, dobbiamo anche creare luoghi in cui è possibile dire le cose come stanno. Senza dimenticare che se la nostra società enfatizza molto la capacità di dire, e di dare, risposte, noi dobbiamo acquisire invece sempre di più la capacità di ascoltare”.
La scelta della Chiesa nel post Concilio, con la riflessione di Paolo VI su questo, ci aiuta a capire che “ai poveri bisogna voler bene, metterli al centro, togliendosi di dosso ogni pregiudizio”. Per far sì che la persona si senta accolta, “non possiamo trincerarci dietro le scrivanie del nostro ufficio, dietro l’ente che rappresentiamo, dietro il potere di dire sì o no al bisogno dell’altro. Dobbiamo eliminare dal momento dell’ascolto e dell’incontro – ha precisato – la scelta se erogare o no un servizio”. Solo in questo modo possiamo tentare di costruire una relazione autentica, fondata non sulla dipendenza dall’aiuto, ma sulla volontà condivisa di liberare dalla povertà. Ancora, occorre saper com-patire, “far capire che la sofferenza che l’altro ci ha raccontato la condividiamo ma, con umiltà e coraggio, dobbiamo anche creare luoghi in cui è possibile dire le cose come stanno. Senza dimenticare che se la nostra società enfatizza molto la capacità di dire, e di dare, risposte, noi dobbiamo acquisire invece sempre di più la capacità di ascoltare”.
“Non occorre essere psicologi per aiutare – ha poi chiarito – ma occorre essere buoni cristiani”. Dunque, la pedagogia da approfondire, anche affidandoci alla preghiera, è quella di Gesù che mira a liberare l’altro: “una relazione che diventa educativa e fa crescere, come con la samaritana, e con lo stesso Pietro che dopo aver rinnegato ha la possibilità di rimettersi in gioco”. Una pedagogia tutta da costruire, insomma, e da costruire insieme come Chiesa. “Perché non dobbiamo dimenticare che non ci muoviamo da soli. Siamo cristiani – ha ripetuto – abbiamo un mandato della comunità che dobbiamo sentire come un sostegno e una responsabilità”.
Al termine della serata, dopo alcune domande, l’invito da parte di Caritas diocesana a rivedersi all’ultimo incontro del ciclo “In-formazione con noi”, che si terrà il 29 marzo, sul tema “Rom e Sinti: conoscerli per accoglierli” e, ancora prima, a partecipare alla giornata-pellegrinaggio che si terrà l’8 marzo, con la visita alla Casa del Giovane di Pavia e l’incontro con il responsabile Caritas della Diocesi lombarda don Dario Crotti.