Ci avviciniamo con passo deciso verso il giorno in cui la nostra Cattedrale sarà riaperta, il 25 marzo prossimo. Un evento che è certamente motivo di festa e di gratitudine perché diventa occasione per ripetere al Signore: “nel tuo amore per l’umanità hai voluto abitare là, dove è raccolto il tuo popolo in preghiera”. L’intera Diocesi e la Città di Carpi attendono questa festa.
La Cattedrale è luogo privilegiato per il mostrarsi della Chiesa; spazio veramente singolare in cui i fedeli possono come esclamare: ho veduto la Chiesa, ossia ho veduto, come in uno specchio, la mia stessa realtà di “pietra viva”.
Il nostro vivere, anche cristiano è contrassegnato da due coordinate: il tempo e lo spazio.
La domenica, coordinata del tempo, dona qualità allo stesso. Con essa “l’incontro col Signore si iscrive nel tempo attraverso un giorno preciso. E in questo modo si iscrive nella nostra esistenza concreta, corporea e comunitaria, che è temporalità. Dà al nostro tempo, e quindi alla nostra vita nel suo insieme, un centro, un ordine interiore” (Benedetto XVI, Omelia nel Duomo di Santo Stefano a Vienna – 9 settembre 2007).
Ma il Signore, oltre al dono del tempo, ci consegna anche lo spazio. Il “ri-abitare” la Chiesa Cattedrale dopo il drammatico terremoto del 2012, ci dice e ci avverte che Dio, insieme col tempo, ci ha donato pure uno spazio dove possiamo incontrarlo. Con Dio, certo, possiamo essere in rapporto dappertutto, come, però, c’è dato un anno liturgico e ci sono offerte domeniche e feste per celebrare il mistero salvifico della Pasqua del Signore, così ci sono dati pure spazi e luoghi che ci aiutano a vivere il mistero del nostro essere cristiani.
Nello spazio del tempio, della nostra Cattedrale, noi siamo aiutati a vivere il nostro essere Chiesa. Le mura, che materialmente sono come un confine che c’impedisce di disperderci e allontanarci, c’incoraggiano a stare vicini gli uni accanto agli altri; il tetto, che, coprendoci, ci ripara dalle intemperie esterne, quasi ci mostra come noi pure dobbiamo coprire gli ignudi, accogliere gli esuli e ospitare i profughi. E’ in questo spazio che celebriamo l’Eucaristia.
E’ nell’Eucaristia che noi diamo il segno visibile dell’unità fra noi, diamo al mondo la testimonianza di essere una cosa sola, come ha detto Gesù: “siate una cosa sola come io e il Padre, perché il mondo creda che mi ha mandato”. La Chiesa diocesana deve essere una famiglia, deve manifestare questo essere famiglia assieme, ascoltando Dio. Ma ascoltare Dio significa anche ascoltare ciò che egli compie e trasmette attraverso le vicende della vita e della storia. Dovremmo imparare a porci in ascolto di ciò che accade nel mondo di oggi, per chiederci che cosa Dio vuole da noi.
Tante domande salgono alla nostra coscienza di credenti e di cittadini. Una di queste ci fa chiedere: dove batte il cuore di questa nostra Diocesi?
+ Francesco Cavina