(Ger 33,14-16 – Salmo 24/25 – 1Ts 3,12-4,2 – Lc 21,25-28.34-36)
Dopo la predizione di tutti questi disastri: ci saranno segni nel sole, nella luna, nelle stelle, angosce di popoli, fragori di mare, gli uomini moriranno per la paura, noi ci aspetteremmo da parte di Gesù una conclusione un po’ diversa. La conclusione invece è: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo perché la vostra liberazione è vicina”. Ci si poteva aspettare: “Rifugiatevi dove potete, si salvi chi può, copritevi il capo, perché la vostra distruzione è vicina!”
Invece Gesù – che ha sempre questa caratteristica – interpreta la fine come il fine, lo scopo. La fine di questo mondo, che Gesù pronostica senza dirci quando, ma che è certa anche se speriamo sia più tardi possibile, non è per lui la distruzione, ma è un passaggio, perché nella fine c’è un fine, uno scopo, che la Scrittura chiama: cieli nuovi e terra nuova. Tutta la creazione cioè – come dice San Paolo – partecipa della situazione degli esseri umani. La creazione si trova nelle doglie del parto – Paolo usa questa immagine molto forte – e partecipa della sofferenza umana; anche lei, la creazione, attende con impazienza la rivelazione della gloria dei figli di Dio.
La Scrittura non vede la creazione solamente come un ambiente nel quale l’uomo opera, come se fossero due realtà parallele, distaccate, ma la vede come partecipe della situazione umana. Ci sarà dunque una fine di questo mondo ma non sarà la fine di tutto: sarà un passaggio, perché il fine per il quale il Signore ha creato il mondo è la Gloria.
In questa descrizione di Gesù noi possiamo vedere anche la sua stessa fine, perché per i discepoli è stato il crollo di un mondo, perché nella sua stessa morte la creazione ha partecipato: si è fatto buio su tutta la terra, c’è stato un terremoto… ma soprattutto il terremoto è stato nell’animo dei discepoli: hanno visto cadere a terra anni di vita con lui, hanno pensato che quella fosse la fine di tutto ciò che Gesù aveva detto e fatto; una morte così non potevano sopportarla. E invece anche lì c’era un fine, e il terzo giorno si è svelato con la resurrezione. Da una morte, dunque, una nuova vita. Anche la croce di Gesù è stata una sofferenza che somigliava alle doglie di un parto.
Ma soprattutto in queste parole di Gesù si può vedere la nostra fine. Noi sappiamo che ci sarà il momento della morte; non sappiamo quando, non sappiamo come, ma sappiamo che certamente dovremo presentarci al Signore; e c’è chi vive la morte come la fine di tutto, la distruzione totale. Gesù ci ha detto che anche nella morte c’è in realtà un fine, ed è quello di presentarsi a lui, di ricevere un abbraccio che sarà tanto più stretto e affettuoso quanto più avremo amato in questa vita. Non c’è dunque una fine per Gesù che non abbia un fine. Non esiste una distruzione totale, perché Dio non vuole distruggere, Dio vuole trasformare, vuole purificare per portare a pienezza.
Bisogna però essere pronti. E la seconda parte del Vangelo ci dà tre consigli per prepararci, che sono anche il programma per l’Avvento: lo direi attraverso tre possibili patologie dell’anima.
Primo consiglio: risollevatevi e alzate il capo. C’è una patologia dell’anima che si potrebbe chiamare artrite spirituale e che ostacola, in genere, ilgesto di alzare il capo e ci porta piuttosto a ripiegare lo sguardo sui nostri piedi. Questo accade quando non partiamo dal Signore, quando le nostre decisioni, i nostri pensieri sono tutti orizzontali o addirittura ripiegati su di noi! Quando ignoriamo la bellezza del rivolgerci a lui, di partire dal Vangelo, quando il nostro sguardo non si alza fino al suo. Il Signore ci chiede di partire da Lui, di alzare lo sguardo, di avere il coraggio di guardare oltre il perimetro della nostra vita.
Il secondo consiglio: state attenti che i vostri cuori non si appesantiscano. Dunque, ci può essere anche una obesità del cuore, una pesantezza che rende difficile camminare. E questo accade – Gesù ce lo dice nel dettaglio – quando ci perdiamo in dissipazioni, in ricchezze e affanni della vita, cioè quando il nostro rapporto con i doni che lui ci ha dato – gli altri, i beni, le qualità come l’intelligenza, la volontà, gli affetti – è un rapporto di sfruttamento anziché di offerta. Quando viviamo come se noi fossimo il fine di noi stessi. Può capitare a tutti. In termini morali si chiama: il peccato. Il peccato è proprio il ripiegamento su se stessi, il trattarsi come se si fosse il centro del mondo, il voler decidere al posto di Dio cosa è bene e cosa è male. Questo ci appesantisce, perché ci carica di tante situazioni, di tante preoccupazioni che non sono quelle del Vangelo. Il Signore ci chiede una certa astinenza spirituale. Ci chiede di rimanere agili, di continuare a camminare rendendoci conto che i doni che abbiamo non sono da consumare semplicemente per noi stessi, ma da mettere a servizio.
Il terzo consiglio: vegliate in ogni momento pregando. Nasconde una patologia che è la sonnolenza. La sonnolenza può diventare anche narcolessia, cioè sonnolenza patologica che colpisce all’improvviso. Il Signore ci chiede di non sonnecchiare davanti alla realtà, di non passare accanto ai problemi, di non far finta di nulla. Ci sono tante ingiustizie attorno a noi, tanti attentati alla vita e alla dignità della persona, e non possiamo abituarci e lasciare scorrere tutto, fare come se nulla fosse; occorre reagire a cominciare da noi stessi. Ogni volta che vediamo un’ingiustizia ci dobbiamo chiedere: cosa posso fare anche io nel mio ambiente, nella mia situazione, per poter cambiare questo pezzo di mondo? Ma Gesù dice: vegliate e pregate! Perché sappiamo che con le nostre forze possiamo fare poco. Torniamo dunque al punto di partenza: alzate il capo, sollevate il capo. Quando noi partiamo dalla Sua Parola, noi siamo certi che ci inquieta, ci scomoda, ma lo fa in modo che la nostra vita diventi servizio per gli altri.
Chiediamo al Signore di evitare queste patologie e accogliere il suo consiglio, farci dono, perché così noi troveremo anche la vera gioia. La vera gioia consiste del donarsi.