Prima di tre riflessioni sugli Atti degli apostoli e il cammino sinodale

Sinodalità dei discepoli e verticalità dello Spirito
Pubblichiamo la prima di tre riflessioni sugli Atti degli apostoli e il cammino sinodale, a cura di monsignor Ermenegildo Manicardi, che ci accompagneranno nel tempo di Avvento

 

   Gli Atti degli apostoli presentano l’espandersi della Chiesa nei territori che si affacciano sull’arco nord/est delle coste del Mediterraneo, partendo da Gerusalemme e arrivando a Roma. Si tratta di un cammino complesso, segnato da variegate vicende e che a buon diritto può essere definito sinodale. Fu, infatti, una strada vissuta insieme – nonostante molte tensioni – per poter affrontare al meglio situazioni nuove, talvolta persino imbarazzanti, per superare problemi apparsi all’improvviso e per rispondere ad esigenze tanto inedite quanto inevitabili.
   La molla che muove la Chiesa in Atti non è il desiderio di uno sviluppo progressivo e geometrico della propria forza missionaria, ma l’obbedienza alla voce dello Spirito che chiama molti altri a quella salvezza di cui già godono i discepoli. Per questo Gesù risorto parla a Paolo del popolo di Dio «numeroso» che già esiste in Corinto prima che l’Apostolo cominci a predicare. Le formule usate in Atti testimoniano la consapevolezza che lo sviluppo della comunità non è un allargamento geografico prodotto dalle strategie dei pastori e dall’entusiasmo dei fedeli, ma è “un dono verticale” che viene dall’alto. Già nel sommario che chiude il racconto del giorno di Pentecoste: ricorre una di queste espressioni rivelatrici dell’assoluta verticalità nello sviluppo della Chiesa: «Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (2,47). La stessa affermazione è riferita alla parola di Dio intesa come il vero agente che suscita le nuove adesioni: «E la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente» (6,7). Della comunità di Antiochia di Siria si dice: «Quando Barnaba giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò ed esortava tutti» (11,23s).
   La Chiesa è guidata, nel concreto delle vicende umane dai suggerimenti dei profeti e di tanti altri uomini che intraprendono ed inventano sempre strade nuove per obbedire al comando missionario. Questo è vero anche per le situazioni negative e questo ci fa “tremar le vene e i polsi”. Non raramente i blocchi dell’evangelizzazione per cui non la Chiesa non procede e lo smagliarsi della cultura cristiana che ha segnato così positivamente altri tempi ed altre epoche sono strumenti che lo Spirito Santo sfrutta per avviare nuovi percorsi e per “piste ferrate” prima non osate e inaccessibili. Emblematico, a questo proposito, è la partenza della missione di Paolo per l’Europa. Essa prende la direzione giusta proprio dai divieti – ossia dall’impossibilità – di sviluppare l’annuncio in Anatolia – là dove sembrava agli Apostoli così opportuno e necessario recarsi. «Attraversarono quindi la Frìgia e la regione della Galazia, poiché lo Spirito Santo aveva impedito loro di proclamare la Parola nella provincia di Asia. Giunti verso la Mìsia, cercavano di passare in Bitìnia, ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro; così, lasciata da parte la Mìsia, scesero a Tròade» (At 16,6-8). In Asia, soprattutto nella capitale Efeso, Paolo arriverà qualche anno dopo (At 19,1) e vi resterà per un triennio (19,10). Il primo blocco subito dall’Apostolo quanto all’Asia è in funzione dell’evangelizzazione della Macedonia, ossia dell’arrivo della buona notizia in Europa. Mentre sono bloccati sulla costa asiatica, dove un tempo era sorta Troia, «durante la notte apparve a Paolo una visione: era un Macèdone che lo supplicava: “Vieni in Macedonia e aiutaci!”. Dopo che ebbe questa visione, subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci avesse chiamati ad annunciare loro il Vangelo» (At 16,6-8). È così che l’Apostolo comincia l’evangelizzazione di quella parte del mondo che oggi è l’Europa.
   Attraverso il racconto di Atti, anche oggi Luca ci esorta con la forza della Parola di Dio a muoverci con fiducia cieca nello Spirito. In diocesi sono ormai partiti i (piccoli) gruppi sinodali dove ci si ascolta per ascoltare lo Spirito. Non dobbiamo avere paura nemmeno delle lacune e di quei “dimagrimenti” necessari che, dolorosi, si impongono ai nostri occhi.
   Il tralcio veramente unito alla vite è potato perché porti più frutto (Gv 15,2). Il tralcio è raccorciato perché deve imparar a buttare la sua forza in una nuova zona dello spazio. È lì, nel luogo scelto dal Potatore, che il tralcio potrà dare il grappolo più ricco e capace di dare buon vino.