V DOMENICA DI PASQUA
Cattedrale di Carpi – 10 maggio 2020 – Omelia di mons. Ermenegildo Manicardi – Diretta televisiva Tvqui
Sorelle e fratelli carissimi,
i Vangeli di questa domenica e delle due prossime domeniche sono parole che provengono dall’ultima cena (Gv 13-17). Nell’intimità di quelle conversazioni, Gesù vuole preparare i discepoli al tempo della sua non visibilità: non al tempo della sua assenza, ma ai giorni sa in cui, risorto dai morti, sarebbe stato presente, fino alla fine dei tempi (Mt 28,20), ma non con una visibilità terrena.
Non sto a dire come queste parole sulla presenza di Gesù senza visibilità siano importanti, soprattutto in giorni nei quali – come nei nostri – si può rischiare tutti un certo scoramento.
1. Non sia turbato il vostro cuore
«Non sia turbato il vostro cuore». Noi ascoltiamo questa esortazione di Gesù, mentre si sta aprendo la seconda fase della pandemia covid-19. Nel tempo di Pasqua, anche in quest’anno, il Signore non si rende materialmente visibile, ma vuole che lo sentiamo presente e che non siamo turbati. I turbamenti di superficie ce li concede, ma ci domanda: «Non sia turbato il vostro cuore». In barba ai nervosismi e alle incertezze, ben spiegabili, il centro vitale della nostra persona, il cuore, deve rimanere non scosso perché gli rimangono dei riferimenti sicuri. Il rimedio che Gesù offre al turbamento è duplice: la fede in Dio e la fede anche in Lui. Un po’ a sorpresa, Gesù articola due oggetti della fede, diversi e distinguibili. Si tratta di credere soprattutto in Dio e poi, si aggiunge, «e anche in me». In realtà si tratta della logica richiesta dal Padre nostro. Il cuore turbato smette di essere in affanno – oppure attenua il suo affanno, fino alla sopportabilità – quando l’uomo si affida al Padre e sceglie consapevolmente di mettere al primo piano assoluto delle sue scelte la santificazione del nome di Dio, la venuta del suo regno, l’adempimento della sua volontà – come appunto avvien nel Padre nostro.
Meditando il Padre nostro comprendiamo bene anche il senso dell’aggiunta: «e abbiate fede anche in me». È essenziale riferirsi alla grandezza e onnipotenza di Dio, ma il suo volto va visto attraverso Gesù e la sua esperienza di vita. Dio non va pensato soltanto attraverso la nostra immaginazione o – peggio ancora – esclusivamente a partire dai nostri bisogni. In questo caso, infatti, si tratterebbe del famoso “Dio tappabuchi” (Dietrich Bonhoeffer), il dio che dovrebbe servire a curare le smagliature dell’umano e a tamponare gli strappi. Il Vangelo ci propone di andare a Dio attraverso lo stile manifestato in Gesù, suo figlio primogenito. Decifrando lo specchio divino, che è Gesù, scopriamo che Iddio può far passare la nostra vita anche attraverso la croce e la morte, anche se il volto di Dio resta sempre quello di un Padre. In definitiva, infatti, egli ci conduce sempre al bene e alla pienezza della libertà e della vita. Gesù è la prova più grande che anche quando soffriamo, anche quando siamo in croce, Dio ci sta amando, ci sta vedendo e ci sta conducendo amorevolmente.
2. La parola sulle molte dimore nella casa del Padre
Nel vangelo di oggi c’è una parola che va capita bene. Nel Vangelo di Giovanni spesso le frasi di Gesù, oltre a un senso immediato ed evidente, hanno anche un secondo significato, più interno e profondo, che può esser capito solo con un intelligente discernimento spirituale.
L’affermazione che Gesù è la via, che ci incammina e ci conduce alle molte dimore del Padre. È una di queste frasi a più livelli. «Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via» (Gv 14,2-4).
Cosa sono in concreto queste «molte dimore nella casa del Padre» e dov’è che ci vuole portare Gesù? Certamente un’importante dimora è il Paradiso, ossia il cielo dove Gesù siede accanto al Padre e dove vuole portare anche noi. Ma altre decisive «dimore nella casa del Padre» sono i luoghi dove si arriva ad amare per davvero. Gesù ci suole portare in Paradiso, ma ci svuole condurre anche, già in questa vita terrena, ad arrivare all’amore sincero, puro e oblativo. Nell’ultima cena Gesù è incamminato, attraverso la morte imminente, verso la dimora del Padre che è il Paradiso, ma è ugualmente incamminato alla dimora di Dio che è l’amore «fino alla fine» mostrato dalla croce. L’evangelista Giovanni comincia il racconto dell’ultima cena dicendo: «Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1).
Gesù è la nostra via perché di continuo opera per condurci là dove è Lui. Il posto specifico dove lui si trova sempre è l’amore, l’amicizia, la tenerezza, la solidarietà responsabile, l’empatia sincera. Gesù vuole essere la nostra via perché noi raggiungiamo davvero il posto dell’amore.
In questi duri mesi di pandemia – sia nella fase uno sia nella fase due – Gesù «ci ha preceduto», si è proposto di essere la nostra via concreta perché raggiugessimo il posto dove lui si trova. Lo dico senza veli e senza mezzi termini. Nei giorni del covid-19 Gesù ha guidato alcuni dei nostri nella dimora luminosa del Padre suo, attraverso la porta strettissima della malattia e della morte. Molti altri – e penso a noi che siamo vivi e che contiamo di farcela – li ha spinti più avanti verso il posto di un amore più grande: sia quelli che hanno fatto del bene agli altri, sia quelli che si sono purificati per mezzo del dolore e della paura. Tutti sogniamo il tempo del completo post virus: usiamo tutte le nostre forze perché quello sia il luogo di un amore più grande, imparato nelle inattese vicende del covid-19. Già adesso, però, dobbiamo piantare bene i piedi in quella dimora del Padre che è l’amore. Lo sappiamo cantare anche in latino: ubi caritas est vera, Deus ibi est – dove c’è carità sincera, proprio lì c’è Dio; oppure anche: dove c’è carità sincera, solo lì c’è Dio.
3. Festa della mamma e preghiera
Oggi ricorre anche la festa delle madri. Care mamme, soprattutto quelle di voi che state partecipando a questa nostra eucaristia, riascoltiamo le commoventi parole di Papa Giovanni Paolo I, Papa Luciani, ultimo, per ora, papa italiano. Più di quarant’anni fa, in uno dei cinque Angelus del suo brevissimo pontificato, tra la sorpresa generale affermò:
«Noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. È papà; più ancora è madre. Non vuol farci del male; vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma. E anche noi se per caso siamo malati di cattiveria, fuori di strada, abbiamo un titolo di più per essere amati dal Signore» (Giovanni Paolo I, 10.09.1978).
Care mamme, i papà da sempre sono considerati immagine terrena di Dio Padre. Persino Gesù volle avere – in Giuseppe di Nazaret, sposo della Vergine Maria – l’immagine terrena del suo Padre celeste. Ma anche voi mamme teologicamente non siete da meno dei vostri mariti. Voi siete, a uguale diritto, vera immagine di Dio. Voi presentate un altro aspetto della generatività di Dio: voi siete la traccia terrena della tenerezza divina, del suo amore che non pretende obbedienza, come devono, invece, fare i padri. Voi ci parlate di quella tenerezza per cui Dio chiede soltanto di esser accolto nel suo amore, di poter riscaldare con la sua presenza, come proponeva il padre del figliol prodigo a entrambi i suoi ragazzi, sia al prodigo spendaccione e dissoluto, sia a quello che si riteneva molto bravo.
Isaia, il più grande dei profeti, aveva preceduto Papa Luciani. Egli insiste, infatti, nel presentare Dio che parla di se stesso anche come di una madre: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Isaia 49,15). Il profeta arriva così ad immaginare Dio che ci dice «Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò – dice il Signore» (Is 66,13). Queste parole valgono anche per noi proprio oggi.
Carissime mamme, noi preghiamo di cuore per tutte voi, oggi! Voi pregate per noi, vostri figli, e “coccolateci al punto giusto”; ripeto: coccolateci, ma “al punto giusto”. Anche in questi giorni di tante regole restrittive, c’è bisogno di molta tenerezza e della vostra proverbiale tenerezza.
Sia lodato Gesù Cristo e buona continuazione del tempo pasquale.