Cattedrale di Carpi

Omelia nella Solennità di Cristo Re (anno B)

Sabato 20 novembre 2021

Ordinazione diaconale di Francesco Cavazzuti

(Dan 7,13-14; Sal 92; Ap 1,5-8; Gv 18,33b-37)

    “Dunque, tu sei re?”. Chissà con che tono Ponzio Pilato, il procuratore romano, l’uomo più potente di Gerusalemme, il rappresentante dell’imperatore, ha pronunciato questa domanda: “dunque, tu sei re?”. Forse è una semplice richiesta, quasi una curiosità, come se dicesse: “tu sei proprio re?”. In questo caso, Pilato parla come uno che cerca la verità; e di lì a poco chiederà a Gesù: “che cos’è la verità?”. Ma potrebbe essere anche una domanda mossa dall’ironia: Gesù era prigioniero e si proclamava re; vedendolo in quei panni, Pilato poteva pensare: “ma come fai a dire che sei un re?”. O magari Pilato esprime compassione per quell’uomo che è precipitato così in basso, un re decaduto, finito. Non sappiamo che cosa pensasse il potente romano; sappiamo però che Gesù, in quell’incontro, aveva l’aspetto di uno schiavo piuttosto che l’aspetto di un sovrano; il Figlio di Dio era irriconoscibile. Eppure parlava proprio come un re, con un linguaggio elevato e nobile: “il mio regno non è di questo mondo”; “sono venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità”. Queste non sono certo le parole di un uomo arrestato e intimorito: sono davvero parole da re. Potremmo dire che Gesù tiene testa a Pilato, il prigioniero al giudice, l’uomo umiliato al potente. In questo modo Gesù, come dice lui stesso, dà “testimonianza alla verità”. Lui non ama l’apparenza, ma la verità.

Questo dialogo sembra un incontro tra un perdente, Gesù, e un vincente, Pilato. In realtà le parti sono rovesciate: il prigioniero, che sembra un poveruomo, è il vero giudice; e il giudice, che sembra tanto potente, si svela come un uomo debole, indeciso, dubbioso. Gesù distrugge sempre le apparenze e ci mostra il lato vero della realtà. Lui non ama il palcoscenico, non gli piace recitare, evita sempre di fingere. Lui ama la verità, anzi lui “è” la verità, come aveva detto pochi giorni prima rispondendo al discepolo Filippo: “io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). C’è questa grande verità nelle parole, nei gesti, nella carne di Gesù: Dio sta dalla parte di chi soffre, di chi è perseguitato e ingiustamente incatenato, di chi è lasciato ai margini. Dio non sta dalla parte di chi opprime, di chi esibisce il potere, di chi opprime i poveri. Nel palcoscenico del mondo sembra così, perché la violenza e l’odio fanno colpo, vanno in scena con successo, ricevono applausi; ma per il Signore è vero proprio il contrario, perché lui non guarda l’apparenza, guarda il cuore.

Carissimo Francesco, tu hai scelto di stare dalla parte della verità e non dell’apparenza, dalla parte dell’accusato e non del giudice, di Gesù e non di Pilato. Il diacono è ministro della “soglia”, è l’antenna che capta le frequenze più deboli della società e intercetta la voce di chi spesso è ridotto al silenzio; ed è anche il megafono, che amplifica questa debole voce e sveglia la comunità, la provoca all’accoglienza degli ultimi e degli scartati. Il diacono è scomodo e può diventare fastidioso, perché i poveri, gli ammalati, gli emarginati sono scomodi. Sappiamo tutti che tu sei allergico al palcoscenico: non ti piace affatto esibirti e, quando puoi, rimani defilato. Ma non sei sfuggente: la tua discrezione favorisce l’impegno concreto, proprio nelle situazioni verso le persone più trascurate. Tra poco, nel rito dell’ordinazione, acconsentirai alla proposta di diventare conforme a Cristo servo. In questo modo entrerai nel pretorio di Pilato, per collocarti accanto all’accusato e non accanto al potente. Ma lo farai perché credi nella verità: sai che in realtà il vero potere è il servizio. Stando nel pretorio dalla parte di Gesù, sembra che tu scelga il perdente – e per la mentalità comune è proprio così – ma in realtà scegli colui che ha vinto la morte, ha proclamato felici i miti e gli operatori di pace, ha ribaltato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili. Come hai ricordato nella recente intervista, è come se tuo zio, che abbiamo accompagnato all’incontro con il Signore alcune settimane fa – il caro don Francesco di cui porti nome e cognome – oggi ti passasse il testimone: preghiamo perché dal cielo ti assista e continui ad ispirarti la passione del servizio umile e discreto.

+ Erio Castellucci