Quinto e ultimo appuntamento del percorso “Credi tu questo?” con don Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola e vescovo di Carpi.

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Sacramenti, Castellucci: «Doni per la nostra vita»
Come mai abbiamo perso la consapevolezza dell’importanza dei sacramenti nella vita cristiana?
In quest’epoca, la percezione che i sacramenti non siano importanti deriva dal rischio di perdere tre consapevolezze fondamentali.
La prima consapevolezza è che la Grazia precede sempre il merito della persona e, nella logica dei sacramenti, le opere sono espressione dell’accoglienza del Signore. Quando papa Francesco fa riferimento al «rischio pelagiano» denuncia il pericolo che si valuti la vita cristiana soltanto sulla base dei meriti individuali.
La seconda consapevolezza che rischiamo di perdere è che la forma della vita cristiana non è individuale, ma comunitaria: il cristiano non è un “cavaliere che percorre questa valle di lacrime cercando di conquistarsi il Paradiso”, ma è parte di un popolo, “pietra” di un tempio spirituale e i sacramenti sono una celebrazione comunitaria perché cementano la Chiesa.
Infine non bisogna perdere di vista la centralità del corpo durante la liturgia: i sacramenti sono doni che passano attraverso alcuni elementi materiali come acqua, olio, pane e vino e attraverso doni ed esperienze. Oggi stiamo sempre di più rischiando di perdere il senso del corpo come espressione della persona, dando spazio a quell’idea precristiana secondo la quale il corpo è secondario. La fede cristiana è invece espressione di un Dio che si fa carne e di conseguenza il corpo ricopre un ruolo centrale rispetto alla salvezza.
Come rendere la comunità soggetto liturgico nella celebrazione di tutti i sacramenti e anche delle esequie?
Dal punto di vista liturgico il rito, che presenta molte varianti, è lo strumento del sacramento, perché non si assiste ai sacramenti, ma vi si partecipa. Nel Messale ci sono molte parti che riguardano la musica, il canto e varie forme di collaborazione ministeriale.
Dal punto di vista pastorale, la partecipazione della comunità può essere favorita dalla cura della comunità: gli animatori, i ministranti, i lettori, gli accoliti e il coro, la guida di un’assemblea che canta, possono aiutare la comunità a diventare soggetto liturgico.
Parlando delle esequie, esse sono un momento delicato, ma anche un’opportunità pastorale importante per poter testimoniare la vita eterna. A volte le esequie sono un momento freddo, mentre dovrebbero diventare un momento di evangelizzazione. A livello comunitario ad esempio, sarebbe possibile coinvolgere un gruppo di persone della parrocchia che presti servizio, accolga i fedeli alla porta della chiesa e guidi i canti.
Non sarebbe il caso di ripensare i percorsi per prepararsi e giungere ai sacramenti?
Da 52 anni la Chiesa italiana si è data un Documento Base per il rinnovamento della catechesi, seguito da molte proposte mirate. Per quanto riguarda i percorsi sacramenti, non si tratta di ripensare i contenuti, ma il metodo.
In Italia è in atto da molti anni la proposta di una catechesi che non sia semplicemente scolastica e nozionistica, ma dovrebbe rappresentare l’iniziazione cristiana in tutte le dimensioni, come apprendiamo da At 2,42 che cita l’ascolto degli apostoli, l’unione fraterna, la frazione del pane e le preghiere. Forse oggi servirebbe confidare di più nella capacità educativa dell’esperienza. Papa Francesco afferma che la realtà è superiore all’idea, vuol proprio dire che la dottrina cristiana fa parte di una vita, ha un volto e una carne: si chiama Gesù ed è via, verità e vita. Certamente organizzare una catechesi che si fondi sull’esperienza è più complicato e ci vuole coraggio perché è chiaro che i bambini a Messa non possano capire tutto ciò che avviene. Forse dovremmo apprendere dai primi cristiani che praticavano la mistagogia: preparavano il minimo, ma riflettevano sul mistero celebrato aiutando i cristiani a interiorizzare la fede.
Che legame c’è tra il Battesimo e il peccato originale?
Il peccato originale non è poi così “originale” come sembra, perché ogni volta che commettiamo un peccato, lo replichiamo. Tutti abbiamo in mente le azioni di Adamo ed Eva, ma bisogna ricordare che il peccato originale è la superbia che porta l’uomo a sostituirsi a Dio. Quando l’uomo si sostituisce a Dio, è lui che decide cosa sia bene e cosa male. Ogni volta che si commette un peccato, di qualsiasi natura sia, ci si sostituisce a Dio. A proposito di ciò occorre dire che a volte l’esaltazione della libertà individuale va a discapito della responsabilità nei confronti di Dio, degli altri e del Creato.
Nel racconto di Genesi la decisione di infrangere la legge di Dio comporta quattro ferite nelle relazioni fondamentali.
In primo luogo viene compromessa la relazione con Dio: Adamo ed Eva rompono il rapporto con il Signore, fuggono da Lui e si nascondono; poi viene ferita la loro relazione personale e sociale: prima andavano d’accordo, poi Adamo accusa Eva e Dio del suo stesso errore; ancora l’essere umano è ferito con se stesso perché nella sua coscienza è subentrata la malizia e questo è testimoniato dalla nudità e dalla vergogna; infine il rapporto con il resto del Creato è compromesso: dopo il peccato la terra diventa ostile all’uomo e la generazione diventa ostile alla donna. Ciò dimostra che ogni peccato ci ferisce nelle relazioni fondamentali dell’esistenza
Ecco il legame con il primo sacramento della vita cristiana: con il Battesimo restano le ferite, restano i “colpi di coda” del serpente, che sono le tentazioni, ma questo sacramento permette di vivere le relazioni di cui abbiamo parlato, nella forma del dono.
La narrazione di Adamo ed Eva viene riletta nel Nuovo Testamento alla luce del Padre Misericordioso (Lc 15), dove si trova la decisione di infrangere l’ordine della casa. Poi c’è un figlio minore che ha infranto il rapporto con il Padre, è ferito nel rapporto con se stesso, nel rapporto con gli altri e nel rapporto con la natura: non riesce neanche a raggiungere le carrube perché lotta con i maiali. Qui lo schema è il medesimo della Genesi, ma c’è un padre che sul semplice ritorno del figlio si commuove e lo abbraccia e organizza una festa. Il Battesimo è questa festa in cui Dio regala all’uomo la possibilità di vivere tutte le relazioni come dono nella logica della gratuità.
Perché non portare la comunione dopo la cresima?
Questa fu esattamente la proposta formulata da Benedetto XVI nella Sacramentum caritatis, esortazione apostolica post-sinodale per ripristinare l’ordine dei sacramenti come avveniva anticamente nell’iniziazione cristiana: prima il Battesimo, poi la Cresima, infine la Comunione.
Durante questo rito, l’adulto che entrava nel battistero veniva accompagnato da una processione durante la quale l’assemblea cantava «Il Signore è il mio pastore»: un salmo che narra tutti gli elementi fondamentali dei tre sacramenti: «ad acque tranquille mi conduce», con il riferimento al Battesimo; «cospargi di olio il mio capo» alla Cresima; «hai preparato per me una mensa, il mio calice trabocca» all’Eucarestia, coronamento dell’appartenenza alla comunità ecclesiale.
Certamente studiare di nuovo questo ordine potrebbe rendere più evidente la connessione tra Battesimo e Cresima e il significato dell’Eucarestia.
La crisi del sacramento della penitenza è legata anche all’eccessiva facilità con cui si ottiene l’assoluzione?
Nella Reconciliatio et paenitentia, Giovanni Paolo II legava la crisi del sacramento alla crisi di fede che determina la crisi del senso del peccato e la scarsità del desiderio di misericordia.
Occorre precisare però che il senso del peccato è diverso dal senso di colpa: quest’ultimo è un campanello d’allarme che segnala la distanza tra i valori che la persona ha interiorizzato e le azioni che compie. Dal senso di colpa si può attivare il senso del peccato e che a sua volta porta l’uomo ad affidare il proprio peccato nella misericordia di Dio.
Nell’immagine che contrappone, anche nel Duomo di Modena, Pietro e Giuda, Pietro vive il senso di colpa e lo consegna a Dio credendo nel perdono, mentre Giuda non riesce a trovare la misericordia e decide di uccidersi.
Questo sacramento “misura” il livello della fede, ma non è un sacramento individuale, perché ogni volta che si compie un peccato, si ferisce il corpo ecclesiale e, come afferma Lumen Gentium 11 «C’è bisogno del perdono di Dio e della Chiesa perché il peccato è una ferita inferta a Dio e alla Chiesa». Dunque anche la crisi dell’appartenenza alla Chiesa finisce per riflettersi su questo sacramento.
Ci sono altri fattori di crisi, per esempio la sensazione che la confessione dei peccati sia una sorta di “lista della spesa” con tanto di prezzo da pagare. Talvolta c’è anche la difficoltà oggettiva di trovare un confessore e i preti sono sempre più impegnati: ricordo una volta al Seminario Lombardo a Roma sentii una meditazione del cardinale Martini che aveva proposto di confessarsi in tre fasi: «Confessio laudis», ovvero cominciare ringraziando il Signore, «Confessio vitae» con i peccati e «Confessio fidei» con l’affidamento alla Chiesa. Infervorato da questa meditazione, andai a confessarmi a Santa Maria Maggiore e trovai un padre domenicano che tagliò corto: «Si attenga strettamente ai peccati». In ogni caso la Confessione, se fatta bene anche con una certa calma, diventa un’esperienza rigenerante dal punto di vista spirituale ed è importante sottolineare il valore della Penitenza, che va meditata attentamente. Il sacramento è medicinale, non è giudiziale: è una pratica che va incontro al peccato per sanarlo.
In merito a ciò, sempre nella Reconciliatio et paenitentia Giovanni Paolo II chiedeva di pensare meglio a questa parte del sacramento, che è importante per tradurre l’assoluzione in un gesto. Quando Gesù dice all’adultera «Va’ e da ora in poi non peccare più» (Gv 8,11) sta dicendo letteralmente che questo sacramento “guarda” al futuro, ma richiede uno sforzo per avere valore.
Sacramento dell’Ordine e del Matrimonio sono paralleli. Ci può dire in sintesi cosa significa?
San Tommaso li definiva «i due sacramenti sociali» perché abilitano a esercitare un servizio stabile nella Chiesa. Essendo sacramenti però, non precludono un servizio basato sulla disponibilità o sui bisogni personali o della comunità, ma sulla Grazia del Signore.
Nei sacramenti c’è sempre questa dinamica: è Dio che si avvicina all’uomo. Due persone che chiedono di sposarsi e un uomo che riceve l’Ordine, vanno all’altare per chiedere al Signore di accompagnarli, perché con quel gesto riconoscono che la capacità di amare davvero viene solo da Dio.
La consapevolezza del fedele è che, anche se ci mettesse il massimo impegno, senza la Grazia di Dio, sarebbe perduto. L’uomo riconosce che non sa amare come ha amato Cristo. Non è una questione di quantità, ma di qualità.
C’è un passaggio delicato nei Vangeli in cui Gesù dice di amare come comandamento, non come sentimento. Questa può sembrare una classificazione molto fredda, ma in realtà significa che l’amore autentico non è sottoposto ai sentimenti, ma è una decisione che suscita, solo in seguito, il sentimento. Non può esserci un sentimento alla base, se no chi avrebbe il coraggio di promettere utilizzando la parola «sempre»? Questa parola non si può utilizzare per i sentimenti, e neanche sulla base della propria volontà, ma la si può utilizzare soltanto se si viene aiutati da ciò che è eterno.
Come mai la Messa per molti è una celebrazione noiosa?
La Messa dovrebbe essere una festa, non “allegrotta” ma pensosa: una festa interiore che deve essere partecipata.
Forse a volte si ha la sensazione che sia noiosa a causa del linguaggio. Se facciamo attenzione al Messale, esso dona ai fedeli tante possibilità di partecipazione di cui spesso non ci si ricorda.
In primo luogo ci sono i canti. che devono suscitare partecipazione, non soltanto ammirazione e plauso. Al di là di qualche pezzo che può favorire la meditazione, è importante che l’assemblea possa partecipare al canto, così come la preghiera dei fedeli e poi la processione offertoriale: gesti che possono esprimere e incentivare la partecipazione.
Talvolta ci può essere la percezione che la Messa sia noiosa perché la predica va rielaborata meglio. Papa Francesco ha dedicato una buona parte di Evangelii gaudium all’omelia, perché la predica è diventata sentore di qualcosa di noioso.
Dobbiamo però trovare il modo di sottolineare il senso dell’Eucarestia come “festa pensosa”. La Messa è motivo profondo di festa, ma anche il concentrato più profondo della vita cristiana e nella Liturgia ci sono tutti gli elementi che ci consentono di renderla una festa pensosa.
Unzione degli infermi
Un tempo questo sacramento era noto con il nome di «Estrema unzione» perché era l’ultima unzione sacramentale – dopo Battesimo e Cresima – in ordine cronologico.
È il sacramento che nella formula chiede la guarigione del corpo. Occorre sempre ricordare che la preghiera deve essere posta non come condizione, ma come supplica, con la stessa logica con cui Gesù prega sul Monte degli Ulivi: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta» (Lc 22,42-43).
Cosa c’entrano i sacramenti con la mia vita quotidiana?
I sacramenti sono fondamentali per il cammino cristiano perché fanno sperimentare il primato della Grazia in ogni situazione di vita. Il Battesimo fa sperimentare la presenza di Dio nella nascita e in tutte le nascite che sperimentiamo nell’esistenza e ci accorpa alla Chiesa; la Cresima conferma la scelta battesimale; la Penitenza raccoglie il peccato e lo brucia nella misericordia di Dio; l’Eucarestia fa capire che senza il cibo che è il corpo di Cristo noi diventeremmo aridi e non potremmo vivere; l’Ordine e il Matrimonio mostrano che nei momenti importanti della vita c’è sempre bisogno della Grazia di Dio; infine l’Unzione significa che il Signore non ci lascia soli neanche nel momento della malattia.
La totalità delle esperienze di vita dipende dalla Grazia di Dio.