Duomo di Modena

Omelia Solennità di San Geminiano

31 gennaio 2023

Saluto all’inizio della celebrazione
In questa Solennità, che dopo tre anni di pandemia può finalmente esprimersi in tutta la sua bellezza, sia in Duomo che nel resto della città, migliaia di fedeli e cittadini modenesi si incontriamo nella Domus clari Geminiani. Ringrazio e saluto tutti i fedeli presenti a questa celebrazione, i confratelli vescovi Mons. Morandi, Mons. Verucchi, e Mons. Pizzi, i vicari generali di Carpi e di Massa-Pontremoli, il Capitolo della Cattedrale e il suo Arciprete, i presbiteri, i diaconi, i seminaristi, i ministri, i consacrati e le consacrate, i Madrigalesi Estensi con il loro direttore, i maestri e i musicisti, tutti i telespettatori che attraverso le reti locali TVqui e TRC sono a noi dalle case e dai luoghi di cura e di riposo, gli operatori della comunicazione, i volontari, chi presta il servizio d’ordine, l’Associazione Garden Club che cura l’addobbo floreale, i volontari e gli impiegati per la pulizia della Cattedrale e la suppellettile. Saluto e ringrazio le associazioni e i movimenti, i Figuranti Estensi che donano a nome del Comune di Modena i ceri votivi e l’olio per la lampada, gli Ordini equestri, le Confraternite e i Decorati pontifici.
Un saluto e un ringraziamento particolare alla Signora Prefetto, al Sindaco di Modena, al Presidente della Provincia neo-eletto, ai rappresentanti dello Stato e della comunità civile; al Procuratore della Repubblica, al Presidente del Tribunale, ai Sindaci dei comuni di San Gimignano e di Pontremoli, uniti a noi dal medesimo patrono, e agli altri amministratori presenti; a tutte le istituzioni, del mondo politico e da quello scolastico e accademico, in particolare alla neo-eletta Dirigente dell’ufficio scolastico provinciale e al Magnifico Rettore dell’Università; alle autorità militari, agli operatori del diritto e della giustizia, alle forze dell’ordine, di sicurezza e vigilanza, in particolare al Comandante dell’Accademia Militare, alla Signora Questore e ai Comandanti provinciali dei Carabinieri, della Finanza, dei Vigili del Fuoco e della Polizia locale, alla Direttrice della Casa circondariale e al Comandante della polizia penitenziaria; ai rappresentanti delle organizzazioni sociali, cooperative, culturali, sanitarie, commerciali, sindacali, imprenditoriali e sportive e alle fondazioni e organizzazioni bancarie. E mi scuso se l’elenco non è completo, data anche la grande ricchezza e vitalità istituzionale, sociale, culturale e politica della nostra città.
Tutti si sentano benvenuti in questa casa, che non è solo del grande Geminiano ma di tutti i modenesi, in questa Solennità che rappresenta l’occasione più alta nell’anno per rafforzare la collaborazione tra tutte le istituzioni operanti per il bene comune, in un’alleanza che rafforza nei cittadini la fiducia e nelle autorità il senso del servizio.
Omelia dell’Arcivescovo
Ez 3,16-21; Sal 88; 1 Cor 9,16-19.22-23; Mt 9,35-10,1
 
 “Tutto è connesso”, continua a ripetere papa Francesco, e ne fa quasi un ritornello nelle sue grandi encicliche, dalla Laudato si’ alla Fratelli tutti. Esiste un legame fra gli esseri viventi, un filo che unisce tra loro ogni persona e ogni popolo, ogni creatura terrena e celeste, ogni avvenimento nella storia e nel mondo. “Tutto è connesso”: nessuno può vivere in una campana di vetro, dentro una tana protetta: è bastato un virus microscopico, in questi ultimi anni, per convincere l’umanità – se ce ne fosse stato bisogno – dell’interconnessione di tutti e di tutto. Ciascuno di noi è un intreccio di fili, di relazioni: nel nostro corpo, nella nostra mente e nella nostra anima sono incise tutte le connessioni possibili. Il corpo è una rete fittissima fatta di elementi materiali: atomi, molecole, cellule e organi; la mente è una rete fittissima fatta di ricordi, affetti, intuizioni, ragionamenti e decisioni; l’anima è una rete fittissima fatta di domande di senso, orizzonti che superano il visibile, inquietudini che cercano Dio.
“Tutto è connesso”: materia, intelletto, spirito. Eppure mai come oggi, dobbiamo confessarlo, abbiamo l’impressione contraria, che tutto sia sconnesso. Le crisi che stiamo attraversando, addensate l’una sull’altra in un groviglio inestricabile, sembrano proprio dirci che “tutto è sconnesso”. Le decine di guerre in corso, tra le quali l’ultima, sciagurata, dovuta all’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa, ma anche le guerre nello Yemen e nella Siria, in Etiopia e in Congo, che hanno causato centinaia di migliaia di morti, con il loro corredo di feriti, distruzioni e malattie, continuano a sconnettere tra loro gli esseri umani, le fedi e i popoli, squilibrando continuamente le relazioni internazionali; lo sfruttamento e l’inquinamento sconsiderato del pianeta non fa che aggravare la crisi economica, particolarmente acuta nell’ultimo quindicennio anche a causa di una finanzia spregiudicata che prescinde dall’economia reale; guerre, desertificazione, terrorismo e dittature aumentano il numero dei profughi, alla ricerca di condizioni pacifiche e vivibili per se stessi e per le loro famiglie; e la povertà, compresa la fame e la sete, accresce la massa delle persone malate, le quali a loro volta aggravano i bilanci degli Stati. Le grandi crisi del XXI secolo, insomma, sono intrecciate tra di loro: crisi economica, migratoria, ambientale, sanitaria, bellica: ma è un intreccio che, anziché unire, sconnette gli esseri umani.
Di fronte a questa situazione prende un senso di scoraggiamento. Possibile che non impariamo nulla dalla storia? Possibile che ogni generazione debba sempre ricominciare da capo, quasi che le esperienze passate siano state messe in archivio? Non è possibile. Grazie a Dio, moltissime persone, gruppi, organismi e istituzioni reagiscono a questa sconnessione universale che condurrebbe all’autodistruzione dell’umanità e di tutte le forme viventi. Come reagiscono? Assumendo, spesso senza saperlo – parlo di persone di ogni cultura e religione – lo stile incarnato da Gesù: uno stile che unisce ciascuno al tutto. Nel Vangelo appena proclamato ritorna per cinque volte l’aggettivo “ogni”, che racchiude in una sola parola l’attenzione all’intero, “tutto”, e al singolo, “ciascuno”. “Gesù percorreva tutte le città e i villaggi”, dice Matteo: e significa tutte e ciascuna; lo stesso termine ritorna altre quattro volte, tradotto con “ogni”: lui in persona guariva “ogni malattia e ogni infermità” e diede anche ai discepoli il potere di guarire “ogni malattia e ogni infermità”. Il Signore non contrappone il “tutto” al “ciascuno”, ma per lui “ogni” persona è connessa al “tutto”. Il suo stile è proprio quello di connettere ciascuno e tutto.
Nel corso della storia, i sistemi sociali e politici non hanno sempre evitato il rischio di ondeggiare tra un’ideologia che fa leva sul singolo a scapito del bene comune, favorendo l’individualismo, e un’ideologia che fa leva sul tutto a scapito del singolo, favorendo il collettivismo. L’individualismo porta alla legge della giungla, dove il più potente, il più ricco o il più spregiudicato finisce per sopraffare chi possiede meno risorse e si trova ai margini della società. Il collettivismo porta alla legge dello zoo, dove si spegne l’iniziativa personale, si entra in una convivenza forzata e compressa dalla ragion di Stato, spesso fissata dal dittatore di turno. I sistemi individualisti esaltano una libertà selvaggia a scapito della giustizia sociale; quelli collettivisti esaltano una giustizia egualitaria e imposta a scapito della libertà personale. Pare insomma che sia proprio difficile integrare il “ciascuno” e il “tutto” e arrivare all’”ogni” testimoniato da Gesù.
Libertà e uguaglianza, oggi è sempre più chiaro, necessitano anche della terza sorella: la fraternità. La cosiddetta triade della rivoluzione francese, che affonda le radici sia nell’antica Grecia sia nel cristianesimo, va presa tutta insieme, se si vuole assicurare una pace vera. La libertà senza le altre due scade nell’arbitrio del più forte,  l’eguaglianza senza le altre due scade nella gabbia della tirannia; la fraternità senza le altre due scade in un vago e inefficace sentimentalismo. Gesù interpreta, come pochi altri nella storia, l’interconnessione di questi grandi valori. Gesù predica una verità che libera (cf. Gv 8,32), combattendo il peccato che rende schiavi; lotta e muore per una giustizia che assicuri a ciascuno e a tutti la possibilità di una vita degna, a cominciare dalle persone svantaggiate. Considera fratelli e sorelle tutti coloro che incontra, sentendo “compassione” – come dice il Vangelo di oggi – per le folle stanche e sfinite.
San Geminiano è la festa dei cittadini, non solo cristiani, e la festa delle istituzioni. Nel nostro patrono si concentrano i tratti del pastore di cui parla il Vangelo: l’annuncio liberante del regno di Dio, l’impegno contro le ingiustizie e il male, la costruzione di legami fraterni e di pace. Il pastore Geminiano ispira non solo il suo successore di turno, ma anche tutti coloro che rivestono compiti di responsabilità nella città. Il filosofo greco Platone, nella Repubblica, utilizza l’immagine del pastore per chiunque riveste autorità di governo (cf. De Rep. IV,440d e Polit. 271e). Una delle fatiche più grandi, per chi dunque ha il mandato di esercitare l’autorità pastorale nelle istituzioni, è quella di connettere “tutti” e “ciascuno”. Spesso chi guida le comunità sociali, politiche e religiose, deve far fronte a tendenze individualiste, che guardano solo al perimetro dei propri piedi, dimenticando il bene comune; e talvolta queste tendenze, pur esprimendo esigenze autentiche, sono incapaci di pensarsi “connesse” agli altri e rivendicano la loro parziale verità, facendo circolare opinioni tendenziose. Chi ha la responsabilità della comunità, di qualsiasi comunità, sente il dovere di mantenere le “connessioni”, cercando di dosare il bene individuale di singoli e gruppi con il bene comune. Incoraggiano le tante, davvero tante, persone che ogni giorno compiono il loro dovere, si impegnano e si spendono per costruire una convivenza più bella e più giusta, creando “connessioni” profonde nella società e nella Chiesa. Fanno meno rumore di chi vuole “sconnettere”, ma lavorano in profondità: sono gli “operatori di pace”.