Ultima tappa dell’approfondimento sugli Atti degli apostoli e il cammino sinodale
Vincere davvero, tutti insieme
Il cosiddetto “concilio di Gerusalemme”, nel complesso cammino della Chiesa degli Atti degli Apostoli, è un momento sinodale particolarmente alto. Molti lo considerano il primo concilio o il primo sinodo della comunità cristiana. Il racconto di questo importante processo lascia intravedere – in At 15,1-35 – alcune delle dinamiche sinodali sviluppate in quell’occasione. Il cammino di queste comunità ecclesiali parte da un’impasse imbarazzante in cui si è venuta a trovarsi la vivacissima missione nella chiesa di Siria.
La capitale Antiochia nel I secolo d.C. contava circa mezzo milione di abitanti ed era la terza città dell’impero romano, dopo Roma e Alessandria. Crocevia di popoli, specialmente greci, siriani ed ebrei, era un vero e proprio crogiuolo di culture e religioni diverse e vi regnava grande corruzione morale e molta superstizione. In questo contesto giungono i discepoli fuggiaschi da Gerusalemme, dopo la persecuzione scoppiata a Gerusalemme soprattutto a causa di Stefano, i quali all’inizio si limitano a parlare solo con i giudei. In un secondo momento le cose cambiano e questi discepoli di lingua greca iniziano ad approcciare anche i pagani: «Ma alcuni di loro, gente di Cipro e di Cirene, giunti ad Antiochia, cominciarono a parlare anche ai Greci, annunciando che Gesù è il Signore.
E la mano del Signore era con loro e così un grande numero credette e si convertì al Signore» (At 11,20s). È in questa situazione – davvero molto prospera, ma anche chiaramente delicata e fragile – che un gruppo di cristiani giudei si presenta nella comunità della Antiochia per diffondere una posizione unilaterale e dura. Essi intervengono minacciando: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati» (At 15,1). Come sempre la rigidità taglia brutalmente qualche aspetto importante e suscita reazioni altrettanto vivaci e marcate. Paolo e Bàrnaba «dissentivano e discutevano animatamente», in base all’esperienza nella missione sviluppata presso i Greci. Diventa evidente che è necessario un itinerario di risoluzione e ci si accorda di portare la questione «dagli apostoli e dagli anziani» (At 15,2) ossia nel luogo dove Gesù aveva predicato, era morto ed era risorto. Il viaggio verso Gerusalemme si rivela un’occasione per far maturare un’opinione pubblica più consapevole: «Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro … attraversarono la Fenicia e la Samaria, raccontando la conversione dei pagani e suscitando grande gioia in tutti i fratelli» (At 15,3). L’arrivo nella città non è naturalmente una soluzione automatica.
La delegazione antiochena viene ricevuta «dalla Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani», e può riferire le grandi cose Dio che aveva compiuto per mezzo loro in Siria (At 15,4). Nella comunità di Gerusalemme però ci sono «alcuni della setta dei farisei, che erano diventati credenti» che condividono la dura posizione propagandata ad Antiochia. Perciò nella riunione che deve risolvere il problema sorge una grande discussione. Nel dibattito vengono portati in campo pensieri teologici di estremo rilievo, avvenimenti innegabile che hanno segnato scelte e sviluppi della vita concreta della comunità e, infine, le prese di posizione delle autorità di maggior rilievo. Pietro illustra la sua posizione poggiando sulle esperienze che lo Spirito Santo gli ha fatto fare a Cesarea di Filippo nella casa del centurione Cornelio (1,1-48). Alla luce di questo suo cammino egli riesce a rileggere la storia reale accaduta e a proporre il suo discernimento sull’attualità: «Dio, che conosce i cuori, ha dato anche a loro lo Spirito Santo e non ha fatto alcuna discriminazione tra noi e loro, purificando i loro cuori con la fede.
Ora dunque, perché tentate Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare? » (15,8-10). Giacomo, il responsabile della Chiesa locale di Gerusalemme, si convince schiettamente della correttezza della proposta di Pietro e della sua fondazione negli annunci dei profeti. Ritiene, però, necessario proporre un compromesso pratico: «io ritengo che non si debbano importunare quelli che dalle nazioni si convertono a Dio, ma solo che si ordini loro di astenersi dalla contaminazione con gli idoli, dalle unioni illegittime, dagli animali soffocati e dal sangue. Fin dai tempi antichi, infatti, Mosè ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe» (15,19-21).
Le due posizioni guadagnano il consenso ecclesiale pieno e viene perciò stilato un documento scritto conclusivo e autorevole (15,23-29). Si decide così di «scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiochia insieme a Paolo e Barnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli» (15,22). L’insieme della vicenda del concilio di Gerusalemme insegna il ruolo essenziale dell’ascolto degli altri per lo sviluppo sano della Chiesa. L’ascolto non va capito solo come un atteggiamento tendente all’irenico. Si tratta di un vero e proprio itinerario, non è interessato alla vittoria di una parte o di un gruppo ma a capire bene come sta andando l’azione di Dio tra gli uomini oggi. Va ascoltata – da tutti e tutti insieme – sia la prassi vissuta e sia la teologia condivisa. Di un tale ascolto fa parte la disponibilità alla mediazione prudente e un’attitudine il più possibile inclusiva. Sin-odo vuol dire non solo camminare insieme, ma anche decidere insieme per vincere insieme le sfide essenziali della fede.