Diario missionario dal Madagascar

Diario missionario dal Madagascar /10
Nella rubrica “Diario missionario dal Madagascar” gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, che in questi giorni accompagna il vescovo Erio Castellucci nella visita pastorale sull’“isola rossa”, insieme a Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena

Diario missionario dal Madagascar /10

Dopo la Messa alla Casa della Carità di Tongarivo  – Foto Pagina Facebook Missio Modena

In questi giorni (26 giugno-7 luglio) il vescovo Erio Castellucci si trova in Madagascar per una visita pastorale accompagnato da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, e Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena.

In questa rubrica pubblichiamo gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti.

Si aggiungono, in questa ultima “puntata”, i commenti e le riflessioni di altri partecipanti al viaggio.

Giorno 10 e 11

E’ il giorno del ritorno, prima però un’ultima grazia dalla terra malgascia: conosciamo e condividiamo la celebrazione eucaristica degli ospiti della Casa della Carità con il padre gesuita Elio Sciuchetti, in servizio a Tanà dal 1963. Una vita dedicata ai fratelli e alle sorelle del Madagascar.

Qui ora ne approfitto per condividere i pensieri di questo pellegrinaggio speciale con qualche compagno o compagna di viaggio, che ringrazio per aver dedicato un minuto alla nostra rubrica.

Terra magica e tragica il Madagascar…sorprende per la sua bellezza sempre nuova, sempre oltre le attese, che ti riempie gli occhi e il cuore. Endemica la povertà, pura sopravvivenza…un mistero la luminosità di quei sorrisi, soprattutto dei bambini che ti circondano da ogni parte e sono felici di fare una foto con te. Colori forti, contrastanti, che ti raggiungono immediatamente e ti catturano.

E poi ho visto la perla preziosa…la sua luce splende nelle case della carità, dove c’è chi ha lasciato tutto per acquistarla e ora vive la gioia di quella scoperta.

Carla

Fatico a riassumere questi dieci giorni di viaggio in Madagascar e sono ripetitiva. Alla partenza ci è stato consigliato di sospendere il giudizio sul popolo malgascio e ho raccolto tanti volti, tanti colori, sapori, odori, tante differenze, altrettante somiglianze, tanti incontri…

Sorpresi/e dal freddo esterno, abbiamo saggiato accoglienze sempre calorose, celebrazioni partecipate con canti corali, sorrisi contagiosi anche in mezzo a tanta povertà materiale.

Siamo stati/e aiutati/e per quanto possibile a incontrarci nella diversità di lingua e guidati/e nella lettura di molte cose viste.

È stato scoprire l’impegno di tanti/e malgasci/e per i propri fratelli e sorelle: vedere che stanno portando avanti, con gli aiuti dall’esterno sì ma in prima persona, quanto di bello è stato costruito insieme e che il duro colpo dell’incidente di fine dicembre sembrava poter annullare. Ed è stato conoscere un po’ meglio persone delle nostre parti che hanno deciso di condividere tempo ed energie con questa gente.

Ho fatto il pieno di voci e sguardi di decine e decine di bimbetti e bimbette incrociati ovunque…

E ora è rientrare a casa arricchiti di tutto questo e col suggerimento di scrollarsi di dosso le polemiche quotidiane, aprire bene gli occhi per vedere quello che abbiamo e, magari, ricordarsi di non sprecare luce e acqua che sappiamo ancor di più non essere così scontate…

È stato un ennesimo regalo e grazie a chi ha organizzato e a tutto il gruppo, ognuna/o per averci messo del proprio bello.

Alessandra

L’Africa non può non sensibilizzare, farti cambiare pensiero, scaldarti il cuore e aprirti la mente, se non lo fai i motivi sono due: o sei troppo stupido o hai un cuore di pietra e non so quale sia la cosa peggiore.

Credo che dentro ognuno di noi ci sia una piantina che germoglia solo se alimentata, la vita europea incentrata sul capitalismo che sacrifica tutto il resto per il dio denaro soffoca questa piantina che invece qui in Africa affonda radici forti e concrete insieme a foglie verdi simbolo di passione e volontà di donarsi agli altri.

Alex

Un viaggio dall’altra parte dell’emisfero per incontrare e condividere la quotidianità con chi ogni giorno lotta per vivere.

Un’esperienza che apre i nostri occhi a una realtà che troppo spesso non viene raccontata ma nascosta.

Come cittadini del mondo siamo portati a scardinare i nostri limiti, i nostri pregiudizi, a uscire dalla nostra comfort zone per metterci in gioco.

Non possiamo più far finta di essere soli su questa terra.

Giorgia

Ho terra rossa appiccicata ovunque, nelle scarpe, sul borsello, attorno ai pantaloni. Ma soprattutto l’ho appiccicata al cuore. Il popolo che abbiamo conosciuto non lo dimenticherò, perché da loro ho ricevuto l’esempio del sorriso dei bambini scalzi, la tenacia del lavoro quotidiano e del desiderio di un futuro migliore, i colori del mercato, la spiritualità della comunione coi vivi e coi defunti, la gioia del servizio delle volontarie e dei volontari, le grida per partecipare alla liturgia degli ospiti delle case.

Don Antonio

Diario missionario dal Madagascar /10

In partenza all’aeroporto di Antananarivo


Diario missionario dal Madagascar /9
Nella rubrica “Diario missionario dal Madagascar” gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, che in questi giorni accompagna il vescovo Erio Castellucci nella visita pastorale sull’“isola rossa”, insieme a Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena

Diario missionario dal Madagascar /9

A Tongarivo, Antananarivo – Foto Pagina Facebook Missio Modena

In questi giorni (26 giugno-7 luglio) il vescovo Erio Castellucci si trova in Madagascar per una visita pastorale accompagnato da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, e Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena.

In questa rubrica pubblichiamo gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti.

Giorno 10

Ieri notte si vedeva molto bene la croce del sud. Qui arriva buio alle 17 e non c’è illuminazione, una condizione ottimale. Anche stamattina siam partiti che era ancora buio. Ma la gente comincia a lavorare molto presto e riempie le strade. Oltretutto siam partiti con la nebbia e il freddo quindi dal nostro pullman vedevamo comparire dal nulla come fantasmi tutta questa gente.

Il viaggio è stato molto lungo e pieno di buche da superare, il panorama era un susseguirsi di lavori nei campi o di commercio dalle baracchine povere che costeggiano la strada. Bimbi che salutano, ma è più un ricordarci che ci sono anche loro al mondo, anzi qualcuno prova a correre verso di noi per chiedere l’elemosina.

Le case molto precarie hanno la pubblicità colorata dipinta sulle loro pareti. Quasi una forma arcaica di street art.

All’interno del pullman le maglie di Giorgia stese ad ogni poggiatesta perché non si erano ancora asciugate dal lavaggio. E la povera zia Carla che non regge tutti i sobbalzi per cui dobbiamo fermarci e farle prendere aria.

Ci fermiamo a pranzare in una pizzeria dove è sottolineato “con forno a legna”. La battuta facile è che se non usano il forno a legna qui sarebbe il colmo, dato che è il modo normale di cucinare in ogni casa.

La nostra meta è Tongarivo, quartiere della capitale Antananarivo. Saremo ospitati per questa notte, prima di partire con l’aereo giovedì. Siamo nella prima Casa della Carità in Madagascar. Dal 1967. Da qui cominciò anche l’avventura della missione diocesana della Chiesa di Reggio Emilia. Le suore sono oggi tutte malgasce, tutte sorridenti e contente di servire i poveri.

Ci mostrano il dispensario. Ogni giorno servono 45 persone con medicine, soccorso sanitario e aiuti di ogni genere.

Facciamo due passi fuori, nella capitale. Tanà (abbreviazione di Antananarivo) fa due milioni di abitanti. Per strada l’odore di fritto dei vari banchetti che si mischiava con la puzza dello smog. Non proprio un cambiare aria quindi.

Nella messa, dove ci ha raggiunto anche Cecilia, il vescovo Erio, partendo dalla guarigione dei due indemoniati gadareni nel vangelo di Matteo, ha ricordato il mistero del Male: “Ha tanti nomi: sofferenza, morte, peccato, violenza. Ma la radice è l’invidia, che è il contrario dell’amore. A partire da Adamo ed Eva, spinti dal demonio ad essere invidiosi di Dio. Non è solo e semplicemente un vizio capitale ma la traccia del peccato originale in noi. Distrugge i legami, fa covare vendette, fa desiderare che l’altro soccomba. Da don Tonino Bello impariamo che il grembiule è il segno di riconoscimento del cristiano. Contrapposto al podio. E ringraziamo il Signore per le testimonianze di servizio che abbiamo ricevuto in questi giorni”.

A cena conosciamo Alberto, in Madagascar da un anno come coordinatore dei progetti della ong “Volontari nel Mondo-Rtm”.

“Se in 10 giorni non avete avuto ancora imprevisti in questa terra, vi sta andando veramente bene” ci dice.

Questo mi fa capire quanta provvidenza ci ha assistito e continua ad assisterci.

Una doccia fredda e al buio, perché hanno staccato il generatore, chiude questa mia giornata. Un viaggio che fino all’ultimo continua a riservarci belle sorprese, che insegnano tanto.

10-continua

 

Diario missionario dal Madagascar /9

Visita al dispensario presso la Casa della Carità


Diario missionario dal Madagascar /7

Nella rubrica “Diario missionario dal Madagascar” gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, che in questi giorni accompagna il vescovo Erio Castellucci nella visita pastorale sull’“isola rossa”, insieme a Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena

Diario missionario dal Madagascar /7

Sulla tomba del missionario Luciano Lanzoni presso la Ferme St François d’Assise a Manakara (Foto Pagina Facebook Missio Modena)

In questi giorni (26 giugno-7 luglio) il vescovo Erio Castellucci si trova in Madagascar per una visita pastorale accompagnato da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, e Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena.

In questa rubrica pubblichiamo gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti.

Giorno 8

Ritiro spirituale alla Ferme St François d’Assise a Manakara, sulla tomba di Luciano Lanzoni.

Qui di seguito una sintesi – elaborata da don Antonio – della meditazione del vescovo Erio Castellucci sul brano dei discepoli di Emmaus (Luca 24,13-35), per il cammino sinodale delle chiese.

Ogni brano del vangelo ha tre livelli di lettura, fa riferimento a tre epoche: il periodo dei fatti (gli anni 30 dopo Cristo), quando è stato scritto (70-80 dopo Cristo), e il 2023 dopo Cristo, il periodo in cui si legge. C’è quindi un’intenzione redazionale in chi ha scritto.

Il primo giorno: è il tempo della festa e della feria, Gesù ci cerca sempre.

Due discepoli: potrebbe essere anche una coppia, ciascuno di noi può essere quel discepolo di cui non si dice il nome. È quindi la nostra storia. Di Emmaus nella Bibbia non si parla. È il ritorno alla vita di prima, il villaggio dei rimpianti.

Sono disillusi, ma prima è sottolineato un fatto. Gesù si avvicina con passo felpato, prende lui il passo dei discepoli. Non comanda, si accosta. Esprime delicatezza.

I loro occhi erano impediti. Non hanno fatto l’incontro vivo. Le cose sapute non hanno scaldato il cuore.

Gesù pone delle domande. Nei vangeli lo fa 217 volte. Perché dalla persona emerga quello che ha dentro, la tristezza in questo caso.

Col volto triste. Gesù ha colpito nel segno. E fa un’altra domanda. E loro recitano il credo.

Noi speravamo. L’imperfetto è il tempo verbale della delusione. Tutto è caduto.

Continua il credo. Le donne non avevano capacità testimoniale. Le apparizioni a loro toglievano valore alla loro testimonianza. Nonostante siano un rafforzamento di quanto avvenuto.

Lui non l’hanno visto. Fine dei giochi.

Cosa potevano intendere i due discepoli: il Maestro aveva predicato da messia. La crocifissione ha smontato nella maniera più assoluta queste pretese. Era una condanna per cui dovevano intervenire i romani e doveva avvenire fuori di Gerusalemme. Perché gli ebrei collegavano sofferenza, pena e peccato. Erano arrivati a giustificare la sofferenza col peccato come pena che si poteva trasmettere fino alla terza/quarta generazione (ad esempio, il brano evangelico del cieco nato).

Ogni pena di morte era considerata espiatoria, non la pena della crocifissione. Era così orribile, poteva durare giorni, era usata come deterrente, che per gli ebrei era segno di maledizione. (Cf. Gal; Lv).

Gesù li prende in contropiede: “stolti…”. Avevate un’altra possibilità, credere che è vivo… se dagli occhi cade il velo sulle scritture: Gesù dà la chiave di lettura cristologica, il sigillo è tolto (cf. Ap, i sette sigilli attraverso l’agnello, cioè la Sua Pasqua).

Nell’Antico Testamento le violenze sono in ogni pagina ma Dio non cambia popolo. Educa le persone di “dura cervice”. Dando la lettura delle cose alla luce della Pasqua. Ecco la necessità di una predica lunga 11 chilometri.

Gesù non si impone neanche all’arrivo. Ha trasmesso il fuoco ma non costringe mai. Dà tutto quello che deve dare ma non mette mai al guinzaglio.

Resta con noi: ha aperto una strada in controtendenza rispetto alle loro delusioni.

Se lui passa oltre si fa notte, non c’è più la luce. Allora invitano il forestiero: è un gesto di accoglienza, come Abramo con i tre sconosciuti.

Gesù quasi ripete l’ultima cena, si fa eucaristia. Il cuore era stato aperto, ora è possibile aprire gli occhi. Quando il Signore si offre e condivide ha dato tutto della Sua identità, quindi lo possiamo riconoscere.

Ora che possono fargli tante domande… la delicatezza di Gesù: non si fa accerchiare (evita l’“effetto chioccia”) perché devono muoversi loro.

Caratteristiche della predica di Gesù: lui è il centro; è un buon predicatore; la sua predica è itinerante, dona parole in cammino con i discepoli.

Chi l’annuncia (chi segue queste caratteristiche) non si mette alla partenza e dice “andate”, o all’arrivo e dice “muovetevi”: cammina insieme agli altri, ecco il sinodo.

Ripartono in fretta, come Maria dopo l’annuncio dell’Angelo. La fretta di chi ama, non di chi è indaffarato. La fretta di chi sa di avere qualcosa da comunicare.

Affrontano 11 chilometri di notte, ma la luce che hanno dentro rende giorno il percorso.

Gerusalemme è la città della missione. Gesù ha accompagnato chi era deluso, ma il viaggio di ritorno lo fanno loro, egli non si mette in mezzo stavolta. (Cf. Deutero-Isaia, come un pastore con il gregge porta gli agnellini al petto, conduce pian piano le pecore madri, ma quelle che riescono, avanti).

Veramente è risorto: l’annuncio è pieno, il credo ora è completo. Sentono il bisogno di raccontare. Ciò che conta per noi noi lo diciamo sempre nel modo del racconto, non della logica.

Anno del redattore: torniamo allo spezzare del pane. L’evangelista Luca usa una terminologia eucaristica. Ha già alle spalle un’esperienza di quattro decenni di messe. E legge l’Eucaristia come incontro col Risorto: hanno vissuto una messa itinerante, la struttura vissuta è la stessa. Ripassiamola.

La Chiesa non è un “self service” ma un’assemblea radunata.

Per prima cosa chiediamo perdono per aver percorso un trattoria di strada al contrario.

Poi la liturgia della Parola, a partire da Mosè a tutti i profeti, fino alla chiave cristologica con la lettura del Vangelo.

Poi dopo l’omelia (nel brano dei discepoli di Emmaus fatta da Gesù) il credo e la preghiera: “abbiamo bisogno di te Signore, resta con noi…”.

L’offertorio è l’accoglienza delle persone forestiere perché si raccoglie per condividere.

Gesù prende la nostra povera offerta e la unisce al pane (i legami riusciti) nel vino (i legami feriti) e Lui la distribuisce.

E poi c’è la missione: siamo noi che dobbiamo farci pane spezzato, recuperare la città cosmopolita degli uomini.

Anno 2023: adesso sta a noi capire. La messa è il concentrato della nostra vita cristiana ordinaria (vedi le dimensioni elencate sopra).

Qui da Luciano Lanzoni, in questi luoghi carichi di Vangelo, siamo chiamati a rimotivare la nostra missione ordinaria, e ad aprire gli occhi sul bene fatto da tanti, molto spesso nel nome di Gesù vivo.

Siamo chiamati a scrollarci di dosso le polemiche. L’essenziale è davvero poco: lasciarsi incontrare per incontrare i fratelli.

Diario missionario dal Madagascar /7

Riflessioni finali di don Antonio

Torno a riflessioni mie: la tomba di Luciano è al centro della Ferme, come un seme gettato nel terreno. Ora tocca a noi portare frutto col nostro servizio missionario.

Nel pomeriggio don Simone ci mostra la Ferme. Oggi è gestita dell’associazione di Reggio “Familiaris Consortio”, e ospita, dando per un anno vitto, alloggio ma soprattutto formazione agricola, 10 famiglie giovani.

Rientrando a Manakara (la Ferme è appena fuori), siamo andati al mercato: un’esplosione di colori, contrattazioni e di umanità.

Poi siamo andati a contemplare l’Oceano Indiano e la forza del suo mareggiare. Il pensiero si è aperto a orizzonti grandi. La sorpresa è stata assistere al sorgere all’orizzonte della Luna piena: la Chiesa è il “mysterion Lunae”, esiste ma solo perché riflette una luce non sua.

Durante la messa, nella memoria liturgica di San Tommaso Apostolo, il vescovo Erio ha sottolineato che il Risorto si presenta con le ferite e lì chiede di essere incontrato. La carne ferita di Cristo che sono i poveri, la Chiesa ferita, noi pieni di ferite per sofferenze, peccati, limiti. Lì chiede di essere incontrato, di non girare pagina.

Il cristiano di fronte alle ferite non si abbatte ma le affronta sapendo che da lì può trovare vita e Risurrezione.

Ringraziamo Tommaso che si è impuntato per vedere il Risorto e lo ha riconosciuto nelle Sue ferite che adesso sono la via per trovare la vita.

Ah, ho dimenticato di raccontarvi che ho assaggiato lo Zaty, un frutto molto buono che da noi non può arrivare perché marcirebbe nel percorso prima di arrivare da noi.

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Diario missionario dal Madagascar /6

Nella rubrica “Diario missionario dal Madagascar” gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, che in questi giorni accompagna il vescovo Erio Castellucci nella visita pastorale sull’“isola rossa”, insieme a Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena

Diario missionario dal Madagascar /6

Messa a Ampasimanjeva – Foto Pagina Facebook Missio Modena

In questi giorni (26 giugno-7 luglio) il vescovo Erio Castellucci si trova in Madagascar per una visita pastorale accompagnato da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, e Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena.

In questa rubrica pubblichiamo gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti.

Giorno 7

Facciamo colazione alle 6 perché alle 7 parteciperemo alla messa della parrocchia dell’ospedale. D’altronde è domenica, il giorno del Signore.

Ci troviamo a mangiare al lume delle torce e dei cellulari perché è venuta di nuovo meno la luce. Ha un suo romanticismo, se vogliamo.

Attraversando il villaggio ospedaliero dico a don Erio che in fondo la prima Nomadelfia nel campo di Fossoli non doveva essere poi così diversa da questa cittadella della carità.

Lungo la strada (tutte sono sterrate e rosse) Cecilia ci indica la casa in legno del calzolaio. È una persona disabile a cui Luciano Lanzoni aveva insegnato il mestiere e che l’ospedale ha poi assunto.

Com’è la messa domenicale della comunità di Ampasimanjeva?

Anzitutto è unica, della comunità, le persone non si fanno problemi a convenire alle 7 del mattino, vestiti quasi tutti a festa. Sono radunate circa 900 persone, tutte le età sono rappresentate ma con una maggioranza giovanile. I piccoli piangono anche qui, i preadolescenti chiacchierano tra loro anche qui. Hanno l’abitudine di spiegare ogni pezzo della messa e questo francamente appesantisce un po’ la festa. Non abbiamo assistito a dei balli ma abbiamo ascoltato dei bellissimi canti a più voci. Ma solo in due occasioni la corale ha cantato per conto suo, accompagnando dei movimenti dell’assemblea. Per esempio, la processione dove ognuno porta l’offerta davanti all’altare. Le raccolte delle offerte sono state due. La prima all’offertorio è per i poveri, la seconda dopo la comunione è per i lavori di restauro della chiesa, rovinata in alcuni punti dal recente tifone. La comunione è stata ricevuta solo da una minoranza dell’assemblea mentre tutti, veramente tutti anche i bambini piccolissimi, portano le offerte all’altare.

D’altronde, ci raccontava il parroco malgascio don Rodolfo, quest’anno hanno celebrato 250 prime comunioni, ma di fedeli che vanno dai 10 ai 18 anni.

I chierichetti sono solo bambini mentre chi legge le letture e le preghiere dei fedeli sono solo donne e ragazzine. I chierichetti che portano le candele entrano in processione con queste sì, ma spente. Vengono accese solo per la lettura del Vangelo. La Sacra Scrittura entra sempre in processione fin dall’inizio e viene intronizzata (posta) sull’altare. Al termine sono stati benedetti i diplomandi, a maggioranza maschile.

La celebrazione è durata 1 ora e 40. Cui vanno aggiungi 20 minuti di avvisi.

Questo è stato in sintesi il pensiero dell’omelia del vescovo Erio (che parla un fluente francese): “‘chi accoglie voi accoglie me e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato’. Queste parole di Gesù ci portano a farci la domanda: Dov’è Dio? Dove si trova? Certo in cielo. Certo è il creatore e l’onnipotente. Ma Gesù ha aggiunto qualcosa di più e di nuovo. Lui ha rivelato che Dio è Padre. Lo ha fatto il figlio eterno. Lo ha fatto con la sua umanità. È nato come noi, ha imparato come noi, ha camminato e mangiato in mezzo a noi. Nella sua ultima parabola (Mt 25) ha detto che tutto ciò che avremo fatto ad ognuno di questi suoi fratelli più piccoli lo avremo fatto a lui. Dunque, cerchiamo Dio non in cielo ma nel volto del fratello con cui Gesù si è identificato e ha condiviso la Sua vita”.

Dopo la messa una corsa al mercato, a contrattare per acquistare qualche bella è colorata stoffa (lamba) o borsa in truciolo. Sotto una pioggia che ci lascia sepolti, ma la gente più di noi, e i bambini scalzi ancora di più.

Pranziamo dalle suore, che per esprimerci il loro affetto assieme a Cecilia hanno preparato a mano le tagliatelle col ragù. Fantastiche. Oltre a tante altre cose buone e a dei regali bellissimi.

Partiamo per Manakara alle 14, col cuore pieno di riconoscenza per queste persone e per questa casa.

A nove chilometri da Manakara, dopo quasi tre ore di viaggio, l’imprevisto che è il sale della vita e dell’avventura. La jeep ambulanza di Emanuele, che caricava parte della nostra truppa, si pianta improvvisamente. Siamo sulla strada ma distanti da tutto.

Il Vescovo intanto sereno se ne sta in fondo al pulmino e continua a lavorare al suo pc portatile.

Alan, il nostro autista, si mostra prontissimo. Prima controlla il motore della jeep e le varie spie poi, ricavato un imbuto da una bottiglia di plastica che avevamo buttato, si precipita sotto il nostro pulmino e scarica qualche litro di gasolio da versare nel serbatoio del mezzo in panne. Ha visto giustissimo, erano rimasti a secco. Ripartiamo molto consolati sapendo di essere in mani espertissime.

Il panorama intanto è cambiato, siamo sull’oceano Pacifico, tante palme da cocco e a vista d’occhio un benessere più diffuso. Sembra di trovarsi in una qualsiasi delle tante nostre possibili destinazioni marittime nel sud Italia.

A Manakara ci accoglie don Luca Fornaciari col rinnovato consiglio pastorale parrocchiale. Cantano e pregano per noi nella chiesa parrocchiale e ci fanno doni. Don Erio prima di dare la benedizione, ringraziando ricorda Luciano Lanzoni come missionario della diocesi di Carpi: “So che il suo cuore era qui, sono venuto a conoscere voi, ciò che gli stava veramente a cuore”.

Alla sera usciamo insieme. Ci sono don Simone, anche lui “fidei donum” della Chiesa di Reggio Emilia, e Teresa, una cooperante della ong Volontari Nel Mondo (quella che una volta si chiamava RTM). Con soli 7 euro a testa un rancio ottimo e abbondante (tutto di pesce!).

 

Diario missionario dal Madagascar /6

A Manakara


Diario missionario dal Madagascar /5

Nella rubrica “Diario missionario dal Madagascar” gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, che in questi giorni accompagna il vescovo Erio Castellucci nella visita pastorale sull’“isola rossa”, insieme a Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena

Diario missionario dal Madagascar /5

Don Antonio Dotti con alle spalle il murale nel reparto di Pediatria

In questi giorni (26 giugno-7 luglio) il vescovo Erio Castellucci si trova in Madagascar per una visita pastorale accompagnato da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, e Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena.

In questa rubrica pubblichiamo gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti.

Giorno 6

La mattina si è aperta con un blocco della corrente. Questo mi ha richiamato ad essere essenziale nell’uso di acqua e luce. Magari anche quando sarò a casa.

Il percorso di visita dell’ospedale di Ampasimanjeva con Cecilia Pellicciari si rivela una testimonianza appassionata della vita di questa dirigente Ausl per dare speranza agli ultimi, con competenza e tenacia. Ricapitolo qualcosa di tutto quanto ci ha spiegato, solo perché si colga qualcuno dei miracoli che si realizzano qui quotidianamente e cosa possiamo imparare dai medici malgasci. Ringrazio Alex per l’aiuto a raccogliere le idee.

Abbiamo incontrato il consiglio dell’ospedale. Dopo la morte del dott. Martin il capomedico è un ragazzo di una trentina di anni, il dottor Charels’Son. Il medico chirurgo invece è una donna, la dottoressa Hortense, che è qui da 40 anni. Adesso è in pensione ma lavora lo stesso. Responsabile del personale è il dottor Bedel, che si è presentato come un discepolo del nostro caro Luciano Lanzoni.

Le diocesi di Modena e Reggio, con l’8×1000 Cei, stanno portando avanti il progetto “Ero malato”, che ha diversi obiettivi.

Anzitutto creare bagni nelle sale operatorie, creare un percorso per migliorare la logistica e garantire rifornimento, viabilità e sicurezza per spostare i malati dopo le operazioni (finora li spostano con una barella a mano).

Il distretto serve 1 milione di persone, nel periodo di calma svolge 200 visite al giorno, nel periodo intenso anche 500.

Si fanno solo le operazioni base con solo anestesia locale e con quello che si ha e che la maggior parte delle volte basta.

Il progetto prevede anche un inceneritore e però, come in Italia, anche qui tutti ne lamentano la necessità ma nessuno lo vuole vicino a casa sua.

Il progetto prevede anche una cucina a disposizione delle famiglie dei degenti, per alleggerire la spesa dei familiari che seguono il proprio caro malato. È più alta la spesa della permanenza lontano da casa e lavoro che quella per le cure mediche.

Il progetto prevede anche percorsi di formazione. Ora che il personale dell’ospedale è stabile, si può fare. Finora (dagli anni ’50!) la vita dell’ospedale si era retta sull’apporto di turnisti (molti dalle nostre terre).

Il progetto prevede anche uno sportello sociale in particolare con il sostegno della figura dell’infermiere di comunità. Sulla diffusione questa figura, che qui coinvolge i catechisti dei villaggi, perché sono le persone più istruite, pioniere è stato proprio il nostro missionario Lanzoni. Ed è bellissimo che venga ricordato per questo.

Solo adesso questo protocollo inizia ad essere replicato in diverso modo ma con medesimo concetto anche in Italia, in sostituzione agli attuali medici di base (sarà una figura ponte tra medico di famiglia e utente, una sorta di infermiere che faccia da riferimento nella comunità di provenienza del malato). In questo il Madagascar si è rivelato all’avanguardia.

Abbiamo visitato anche la degenza pediatrica, ed è stata per me gioia grande vedere il murales realizzato l’anno scorso dalle nostre Sara Prandi, su idea di Camilla Lugli. Con l’aiuto delle altre volontarie missionarie di Modena e Reggio. Confermo quello che raccontava alla cena missionaria dello scorso ottobre: guardando quei disegni e quei colori, i bambini guariranno prima perché si ritrovano in un ambiente che trasmette gioia.

Un’altra caratteristica della sanità qui realizzata è la catena delle diagnosi. Come procedimento si escludono subito le malattie più gravi (malaria cerebrale e poi la tubercolosi) per poi andare a scemare. Al contrario rispetto al nostro standard, dove si parte sempre dalla più comune per poi eventualmente diagnosticare la più specifica (con enormi rischi di perdita di tempo).

Ed ora una serie di informazioni che ci sono state rivelate, che normalmente non troviamo sulla stampa ma che aprono gli occhi sulla realtà di questo paese.

Il Madagascar è uno di quei paesi dove i finanziamenti dell’Oms arrivano più numerosi se non si dichiara la presenza dell’Aids, quindi i dati reali vengono occultati. Sicuramente ce ne sono di questi malati, perché i medici ne riscontrano i sintomi.

Esiste un virus, il bilarziosi, che entra dalla cute anche integra sopratutto dai piedi e si trova in alcune conchiglie presente in alcuni fiumi del paese. I locali spesso sanno dove fare il bagno, gli occidentali no. Qui è una piaga sociale, e arriva a provocare anche infezioni polmonari.

In Madagascar tutti i bambini fin da piccoli vengono circoncisi. Non per motivi religiosi ma per motivi di igiene.

Quest’anno i medici hanno riscontrato 8 casi di lebbra presenti tra i pazienti, anche se la malattia in Madagascar è stata dichiarata ufficialmente debellata.

L’anno scorso sono morti tanti bambini di morbillo.

Il protocollo per vincere la tubercolosi è ancora quello ideato dalla missionaria martire in Somalia Annalena Tonelli: almeno 6 mesi di terapia. Spesso invece il paziente preferisce farla per un periodo più breve, ma così rafforza la malattia anziché sconfiggerla.

La Farmacia di questo ospedale ha un deposito-magazzino gestito da un operatore che, tramite un server particolare, viene controllato anche dall’italia. Per rendere massimamente efficiente il reperimento e la distribuzione dei farmaci.

Il Madagascar ha un tasso altissimo di suicidi, e soprattutto per delusione in amore. Dagli anni ’70 ci sono molte ricerche su questo. Qui in ospedalehanno quindi un sacco di malati psichiatrici ma lo stato riconosce poco questo tipo di malattie.

Lo stato, che ha il ministero “della sanità e della pianificazione delle nascite”, non finanzia in nulla la sanità tranne che la procedura di aborto. Soprattutto attraverso l’accesso gratuito ed imposto di una puntura sottocutanea che ha un’efficacia sulla donna anche di 6 anni. Il paese oggi soffre di conseguenza di un problema enorme di sterilità femminile.

In Madagaskar poi è molto attiva un azienda inglese, la Marystop (che risulta essere stata fondata l’8 dicembre e ha i colori dello stemma in bianco e blu, come l’Immacolata!) e persegue la diffusione di operazioni di chiusure delle tube nelle donne e di accesso libero e gratuito agli anticoncezionali.

Tutte le confessioni cristiane insieme stanno cercando di lottare contro questa imposizione dello Stato sul controllo delle nascite. Le tre chiese (cattolica, protestante, anglicana) hanno creato un organismo di unione che ha già pubblicato documenti importanti. Questa voce ha più peso in Madagascar della sola nunziatura o della conferenza episcopale.

In Madagascar hanno riscontrato molti problemi di ipertensione e di diabete. Il motivo è il menù per lo più a base di banane, riso e, per dare sapore al riso, di quella specie di dado molto salato che viene utilizzato.

A pranzo abbiamo avuto sotto gli occhi l’esempio del vescovo Erio nel servizio di apparecchiamento e lavaggio piatti dopo il pasto.

Nel pomeriggio poi abbiamo vissuto la bella messa in malgascio ed in italiano, per tutti gli operatori sanitari, ricca di canti e di balli (da parte delle stesse infermiere dei vari reparti!).

Questo in sintesi il bellissimo pensiero di don Erio per loro, nell’omelia: “rinunciare ai propri cari significa diventare capaci di amare andando oltre la cerchia della propria famiglia. Gesù dice che è in gioco la vita eterna. Addirittura un bicchiere d’acqua dato avrà questa ricompensa. Voi ogni giorno qui date molto di più in termini di tempo, attenzioni, cure, competenze. Gesù dice che state accogliendo lui e io vi dico grazie! (in malgascio, “soccia”)”.

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Diario missionario dal Madagascar /5

Diario missionario dal Madagascar /5


Diario missionario dal Madagascar /4

Nella rubrica “Diario missionario dal Madagascar” gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, che in questi giorni accompagna il vescovo Erio Castellucci nella visita pastorale sull’“isola rossa”, insieme a Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena

Diario missionario dal Madagascar /4

Foto Pagina Facebook Missio Modena

 

In questi giorni (26 giugno-7 luglio) il vescovo Erio Castellucci si trova in Madagascar per una visita pastorale accompagnato da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, e Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena.

In questa rubrica pubblichiamo gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti.

Giorno 5

Questa mattina siamo partiti per Antsenabolo, a conoscere il terreno sul quale il vescovo Alfredo (Caires, vescovo di Mananjary, ndr) vorrebbe realizzare il progetto ambizioso: il centro fisioterapico assieme ad una Casa della Carità maschile. Il luogo è suggestivo perché domina sul paese. Emanuele (Barani, ndr) che è ingegnere civile nota però che si dovrà scavare almeno 100 metri in profondità per portarci l’acqua.

La tappa successiva del nostro viaggio è Ampasimanjeva, dove è stato realizzato dalla diocesi di Faranantsoa un ospedale privato. In Madagascar la sanità è a pagamento ma, a differenza di quella statale, dove tu entri solo se paghi, qui accolgono tutti e poi paghi quello che puoi. Dagli anni ’70 ad oggi tanti medici e infermieri volontari hanno aiutato e sostenuto con le loro capacità professionali questa realtà, che serve un distretto di almeno centomila persone. Ultimamente si sta portando avanti un progetto 8xmille della Conferenza Episcopale Italiana (Cei) di ampliamento, presentato dalle diocesi di Modena e Reggio Emilia insieme. Emanuele lavora a questo progetto, sua moglie Maria Teresa (Gambigliani, ndr) e Deborah (Gualtieri, ndr) invece sono inserite con delle mansioni nell’ospedale.

Per arrivarci si affronta tanta strada sterrata, intorno solo la terra e la polvere rossa tipica dell’isola. Ma per fare 12 chilometri impieghiamo almeno un’ora, rischiando di rompere le sospensioni.

Attraversiamo con un ponte “molto suggestivo” il fiume Faraony, dove dicono ci siano anche i coccodrilli. Attorno solo risaie, per cui il rischio di contrarre la malaria aumenta in probabilità.

Siamo ospitati dalle suore della Casa della Carità che cucinano magnificamente due pescioloni comprati al mercato qualche giorno prima.

Il mercato lo visitiamo nel pomeriggio: è un’esplosione di persone, colori e suggestioni. Qui è attivo ogni giorno, perché la vita del paese ruota attorno all’ospedale ed i parenti dei malati hanno sempre bisogno di tutto (perché lo stato per la sanità, come abbiamo capito, non passa niente).

Una donna è intenta a separare col setaccio di truciolo il grano dalla pula, e subito vengono in mente le parole del Vangelo sul giudizio. Un branco sempre più numeroso di bambini incuriositi ci segue, noi “Vasà” (stranieri bianchi) siamo l’attrazione della giornata, ma subito vengono in mente le parole di Gesù: “lasciate che i bambini vengano a me, di essi è il Regno”.

Un particolare importante: le suore che ci stanno ospitando hanno qui, per indicazione del loro stesso fondatore don Mario Prandi, come poveri a cui dedicarsi, i malati dell’ospedale.

Alla messa don Erio ricorda i primi martiri romani. Nell’omelia parla della Speranza cristiana che dopo guerre, calamità e persecuzioni è come una fiamma che non si spegne e illumina il buio. Ha un nome la Speranza: il più inflazionato è Amore, quello delle letture è “vita donata”. E ha concluso: chi dona la vita non ha più nulla da perdere perché la vita donata è la sostanza della vita eterna.

A cena le suore hanno preparato una pizza deliziosa ed il vescovo si è dedicato con tenerezza a giocare con la piccola Toky, mentre il papà Emanuele raccontava della loro prima esperienza missionaria in Ciad. Partecipa ai nostri pasti anche Cecilia Pellicciari, dirigente Ausl di Modena che per qualche mese tutti gli anni viene in questo ospedale a dare una mano all’organizzazione, perché sia portata avanti dai malgasci. Domani mattina dopo lodi e colazione faremo la visita guidata ai vari reparti e ci spiegherà per bene come funziona.

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Diario missionario dal Madagascar /3

Nella rubrica “Diario missionario dal Madagascar” gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, che in questi giorni accompagna il vescovo Erio Castellucci nella visita pastorale sull’“isola rossa”, insieme a Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena

Diario missionario dal Madagascar /3

“Il cammino della croce”

Dal popolo malgascio impariamo che solo quando saremo riusciti a togliere il peso dalle teste delle donne dando futuro a quella bambina che ci guarda, potremo veramente dirci felici e liberi. (Don Antonio Dotti)

Giorno 4

Arriviamo a Mananjary, dal nome del fiume che l’attraversa e sfocia nell’Oceano Indiano, e l’emozione è grande perché siamo attesi e accolti dai giovani missionari modenesi Debora Gualtieri, e gli sposi Maria Teresa ed Emanuele Barani, con la piccola Ludovica Toky (“fiducia” in malgascio) nata qui sei mesi fa.

Siamo accolti dalla Casa della Carità, dalle suore (malgasce) e dalle ospiti. È come essere a Fosdondo (vicino a Correggio, ndr). Ci accolgono con un ballo tipico e ci regalano un copricapo colorato, che conserverò con affetto.

Ci raggiunge e ritrovo il vescovo di questa diocesi, mons. Alfredo Caires, che era venuto a trovarci in Italia in gennaio. Con questa Chiesa la nostra diocesi ha un accordo di cooperazione che porta avanti il lavoro di Luciano Lanzoni con tre centri fisioterapici.

Pranziamo alla Casa della Carità, noi offriamo il gelato perché oggi si festeggiano i Santi Pietro e Paolo.

Alla messa, metà in malgascio e metà in italiano, don Erio ci lascia una delle sue omelie semplici, brevi ma profondissime: “Otto anni fa ero anche io in San Pietro in questa solennità per ricevere dal papa il pallio. Ma sono più contento di festeggiare qui oggi. Perché la Chiesa non è fatta di pietre grandi ma da pietre belle, e voi – così ha detto don Erio guardando gli ospiti della casa – siete persone belle. E anche papa Francesco oggi avrebbe preferito senz’altro essere qui anziché a Roma”.

Ci spostiamo poi e siamo ospitati in vescovado, il clima è speciale, lo stesso che troveremmo se andassimo alle Maldive, o alle Seychelles, o alle Mauritius, che stanno proprio di fronte a noi.

Nel pomeriggio il vescovo ci fa incontrare i responsabili dei centri fisioterapici e uno dei pazienti aiutati. Ascoltiamo tutte le questioni aperte e la possibilità di collaborare ad un nuovo progetto, più funzionale a pazienti ed operatori, ma ambizioso. Vedremo se avrà fiato, ci stiamo interrogando seriamente. Sicuramente ci interessa continuare la cooperazione fra Chiese sorelle.

Al termine del pomeriggio il vescovo Alfredo ci regala un altro copricapo in paglia, e ci sentiamo tutti un po’ più malgasci.

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Diario missionario dal Madagascar /3

Da sinistra il vescovo Erio Castellucci e il vescovo Alfredo Caires
Foto Pagina Facebook Missio Modena


Diario missionario dal Madagascar /2

Nella rubrica “Diario missionario dal Madagascar” gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, che in questi giorni accompagna il vescovo Erio Castellucci nella visita pastorale sull’“isola rossa”, insieme a Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena

Diario missionario dal Madagascar /2

Foto Pagina Facebook Missio Modena

In questi giorni (26 giugno-7 luglio) il vescovo Erio Castellucci si trova in Madagascar per una visita pastorale accompagnato da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, e Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena.

In questa rubrica pubblichiamo gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti.

Giorno 3

Parte il lungo viaggio con la combo, ci muoviamo verso sud. L’autista ci spiega che per evitare multe deve legare i bagagli sul tetto: speriamo il meglio. Sull’altopiano dove siamo in questa prima parte della missione, fa freddo. In molti avevamo sottovalutato il problema ma sono sufficientemente coperto.

Francesco, che con sua moglie Lara ha vissuto tre anni qui in Madagascar, ci spiega che in malgascio esistono due modi di dire “noi”, uno inclusivo e uno esclusivo. Vediamo di imparare a pensare col primo modo.

Lungo la via capiamo che le persone vivono per la strada, fin dalle 5 del mattino. Effettivamente le case che vediamo sono molto improvvisate e non sono confortevoli come le nostre. Francesco ci spiega che loro non hanno come noi una stanza a testa, e vivono numerosi in poco spazio. Vicino alle case si notano le tombe artigianali dei propri morti, le tombe di famiglia. È tipico della cultura malgascia il culto dei propri antenati. Non esistono i cimiteri pubblici o se ci sono ospitano solo gli stranieri.

Passiamo per Antsirabe, la seconda città più grande dell’isola. Vediamo tanti bambini, probabilmente seguono il ciclo di vacanze come il nostro pur essendo in un altro emisfero, dove le stagioni sono invertite. Anche il sole segue percorsi diversi da quello a cui siamo abituati, qui ha lo zenit a sud invece che al nord.

Non vediamo fabbriche, da decenni non funzionano e non hanno sviluppato la ferrovia. Vediamo solo risaie e numerose e artigianali produzioni di mattoni di terra cotti e di ghiaia realizzata a mano a martellate. Le famiglie sembrano sopravvivere soprattutto attraverso il commercio dei prodotti delle proprie coltivazioni private.

Ci muoviamo da nord a sud, non abbiamo segnale. Se ci dovesse succedere qualcosa saremmo in balia di tutto.

Ci fermiamo temporaneamente ad Ambositra, dove dovremmo trovare il segnale della rete: il Vescovo deve fare una diretta per Radio Vaticana che ha saputo del viaggio e vuole conoscere meglio le motivazioni della nostra avventura. Purtroppo, però, per motivi tecnici, la diretta salta.

Ci fermiamo a mangiare in un ristorante. Prendere qualcosa lungo la strada per degli improvvisati come noi potrebbe essere rischioso. Ho provato il piatto di riso con la carne di Zebrù e mi è piaciuto. All’uscita ci attendevano pazienti e ci assalgono uno stuolo di donne desiderose di venderci sciarpe di seta grezza: Francesco del Centro Missionario di Modena, che è anche l’organizzatore del nostro viaggio, si immola per il gruppo e riesce a contrattarne l’acquisto di 7 a 8 euro circa l’una. Il pranzo al ristorante invece ci è costato 6 euro a testa.

Riprendiamo il viaggio, destinazione Fianarantsoa. Sono le 14, ci mancano solo cinque ore on the road, strada che però è sempre più disastrata.

Per strada tanti risciò umani. Si possono notare anche tante chiese di confessioni cristiane diverse: l’ecumenismo qui in Madagascar è la normalità.

Dopo ore a chiacchierare, leggere, pregare ma soprattutto ad osservare il paese profondo, i suoi colori, la sua vitalità, arriviamo alla Casa della Carità di Fianarantsoa, una delle tante della missione diocesana reggiana dal post-concilio in Madagascar. Qui dormiremo. Ci accolgono le suore, tutte malgasce, con tanta cortesia. Nella cappella interna salutiamo il Signore. Il tabernacolo è realizzato…con una pentola sopra tre pietre di quarzo viola. C’è infatti un detto locale: “chi sa cucinare su tre pietre tiene in piedi il mondo”. Ma il mondo lo tiene in piedi il Signore Gesù Risorto, presente nell’Eucaristia! Il principio cardine delle Case della Carità di don Mario Prandi poi sono i tre pani della presenza del Risorto nella Chiesa: i poveri, la Parola, l’Eucaristia. Rappresentati dai tre quarzi viola.

Anche il crocifisso della cappella è curioso: è un Gesù Risorto con le braccia alzate vittoriose, che da crocifisso sta per ascendere verso il Cielo.

A cena uno “scherzo da prete”: per festeggiare la nostra visita le sorelle ci hanno preparato i cappelletti (come la sera prima i tortellini le suore Francescane di Palagano. Probabilmente si son passati voce)! E io che pensavo di togliere qualche chilo di peso venendo qui mi sa che dovrò ricredermi. Assaggio anche la loro papaya, molto buona.

Prima di ritirarci andiamo a passeggiare fino alla casa maschile, con tanti novizi in cammino. Recitiamo la Compieta con loro ma soprattutto gustiamo l’armonia dei salmi splendidamente ritmati e cantati in malgascio a più voci.

Giorno 4

Dormito abbastanza e abbastanza bene, con tre panni. Il pensiero maggiore è stato per la rete-zanzariera apposta ad ogni letto, perché lasciava sempre aperti dei pertugi.

Partiamo alle 6, destinazione Mananjary. Sei ore di viaggio previste.

Un particolare che non può non colpire: la maggioranza delle persone cammina a piedi nudi e magari, per lo più le donne, portando sulla testa montagne di cose, con un equilibrio e una dimestichezza invidiabili. Gli uomini invece portano spesso sulle spalle dei bastoni, per esempio con i caschi di banane, poste a destra e a sinistra.

Ci dice Francesco che le persone a piedi nudi preferiscono le buche all’asfalto lungo le strade, tutto quindi è relativo.

I piedi nudi mi fanno ricordare il motivo pratico della lavanda dei piedi di Gesù, il motivo vero è il lasciarci lavare da Lui per imparare e riuscire a lavarli e a lasciare che ce li lavino. Anche dai fratelli e dalle sorelle malgasce.

Mentre passiamo vediamo pulmini supercolmi di persone, dentro e fuori, e bagagliai sui tettucci straripanti di tutto. Una sfida alle leggi della fisica.

I bambini sono tutti sorridenti e ci salutano sempre. Noi ricambiamo e scherziamo dicendoci che sembriamo un po’ il Papa, ma in realtà la benedizione ce la stanno dando loro.

Il nostro camion si blocca per un rumore: panico.

Ne approfittiamo per scendere e fare una sosta.

Meno male che il nostro autista Alain è esperto, sistema e si riparte.

Stiamo abbandonando l’altipiano, scendiamo verso l’oceano. Viaggiamo in direzione sud-est. Sta cambiando il clima, diventa tropicale.

Attraversiamo il Parco termale naturale di Ranomafana. Le case cambiano, ora sono fatte del legno pregiato di Ravinala, la tipica palma a ventaglio, simbolo del Madagascar, che qui in effetti abbonda. Sono su palafitte, perché questa è zona di frequenti cicloni, è facile si allaghi spesso, soprattutto da dicembre a febbraio.

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Diario missionario dal Madagascar /2

 


Diario missionario dal Madagascar /1

Nella rubrica “Diario missionario dal Madagascar” gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, che in questi giorni accompagna il vescovo Erio Castellucci nella visita pastorale sull’“isola rossa”, insieme a Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena

Diario missionario dal Madagascar /1

Da sinistra: don Antonio Dotti, Francesco Panigadi, monsignor Erio Castellucci, suor Elisabetta Calzolari
Foto Pagina Facebook Missio Modena

In questi giorni (26 giugno-7 luglio) il vescovo Erio Castellucci si trova in Madagascar per una visita pastorale accompagnato da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, e Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena.

In questa rubrica pubblichiamo gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti.

Giorno 1
Partenza ore 12.30. Ottima compagnia quella modenese, abbiamo perfino due infermieri. Ci sentiamo protetti. Abbiamo tanto tempo in aeroporto (Bologna, ndr), nella condivisione delle letture (la Chiamata di Abramo, il Vangelo della pagliuzza e della trave). Don Erio ci invita a non considerare il viaggio solo come lo spazio fra una tappa e un’altra ma ad amarlo come in Abramo, come cifra della propria esistenza. Prendendo spunto dal Vangelo Francesco Panigadi (direttore del Centro Missionario di Modena, ndr) invita a sospendere il giudizio sul popolo malgascio e su ciò che incontreremo. Forse probabilmente avranno qualcosa da insegnarci loro. Io rifletto sulla possibilità di togliere la trave dall’occhio, bisogna lasciarsi guardare dallo sguardo pieno di cura amorevole di Dio, come dice il salmo del giorno.

Giorno 2
Arrivati sani e salvi ma alle 16.30 (orario di Antananarivo, capitale del Madagascar, ndr). Un viaggio infinito (colpa di due scali aerei). Ci muoviamo con una combo (un pullmino) che ricorda molto quelle flowerpower delle avventure degli anni ‘70. Lungo le strade vediamo i contrasti della capitale, i palazzoni di fianco alle baraccopoli. Tanta povertà e diffusa, ad ogni angolo si incontrano persone che chiedono aiuto economico ed implorano aiuto.

La stanchezza è guarita dall’ospitalità malgascia delle Suore Francescane di Palagano che ci ospitano ad Antanananarivo. Comunità a maggioranza malgascia, frutto di 50 anni di missione.

Gioia vera, profonda e palpabile nella cara suor Elisabetta Calzolari, la pioniera della comunità ora appunto radicata e missionaria (una casa anche in Paraguay, di sole suore malgasce). Gioia perché don Erio è il primo vescovo di Modena e il primo vescovo di Carpi a scendere a trovarle.

Ci costringono a mangiare ma fanno bene: la loro ospitalità è gustosissima, come i sapori dei cibi, frutto del lavoro del loro giardino.

Festeggiamo il compleanno di Pietro. Lui è partito anche per vedere Ludovica, la nipotina che è nata in Madagascar da Emanuele Barani e Maria Teresa Gambigliani, la coppia di giovani sposi modenesi in missione qui da un anno.

Nella messa, dove i canti in malgascio raccontano la fede di tutte queste ragazze in cammino per la vita religiosa, don Erio spiega la porta stretta del Vangelo come il passaggio necessario (la porta è Gesù) per diventare capaci di dono e non dei predatori.

Le suore ci raccontano chi sono anche grazie ai balli e alle loro danze tipiche: sono un popolo giustamente fiero delle proprie radici.

In stanza ho due pensieri: bisogna proteggersi dalle zanzare e quindi spruzzare e spruzzarsi spray ovunque, e la condivisione degli spazi col Vescovo, quindi “in filiale rispetto e obbedienza” (cit. dal rito di ordinazione).

Domani si parte alle 4.30, ci attende un viaggio di 14 ore (!).

Giorno 3
Parte il lungo viaggio con la combo, ci muoviamo verso sud. L’autista ci spiega che per evitare multe deve legare i bagagli sul tetto: speriamo il meglio. Sull’altopiano dove siamo in questa prima parte della missione, fa freddo. In molti avevamo sottovalutato il problema ma sono sufficientemente coperto.

Francesco, che con sua moglie Lara ha vissuto tre anni qui in Madagascar, ci spiega che in malgascio esistono due modi di dire “noi”, uno inclusivo e uno esclusivo. Vediamo di imparare a pensare col primo modo.

Lungo la via capiamo che le persone vivono per la strada, fin dalle 5 del mattino. Effettivamente le case che vediamo sono molto improvvisate e non sono confortevoli come le nostre. Francesco ci spiega che loro non hanno come noi una stanza a testa, e vivono numerosi in poco spazio. Vicino alle case si notano le tombe artigianali dei propri morti, le tombe di famiglia. È tipico della cultura malgascia il culto dei propri antenati. Non esistono i cimiteri pubblici o se ci sono ospitano solo gli stranieri.

Passiamo per Antsirabe, la seconda città più grande dell’isola. Vediamo tanti bambini, probabilmente seguono il ciclo di vacanze come il nostro pur essendo in un altro emisfero, dove le stagioni sono invertite. Anche il sole segue percorsi diversi da quello a cui siamo abituati, qui ha lo zenit a sud invece che al nord.

Non vediamo fabbriche, da decenni non funzionano e non hanno sviluppato la ferrovia. Vediamo solo risaie e numerose e artigianali produzioni di mattoni di terra cotti e di ghiaia realizzata a mano a martellate. Le famiglie sembrano sopravvivere soprattutto attraverso il commercio dei prodotti delle proprie coltivazioni private.

Ci muoviamo da nord a sud, non abbiamo segnale. Se ci dovesse succedere qualcosa saremmo in balia di tutto.

Ci fermiamo temporaneamente ad Ambositra, dove dovremmo trovare il segnale della rete: il Vescovo deve fare una diretta per Radio Vaticana che ha saputo del viaggio e vuole conoscere meglio le motivazioni della nostra avventura. Purtroppo, però, per motivi tecnici, la diretta salta.

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Viaggio del vescovo Castellucci in Madagascar

Dal 26 giugno al 7 luglio si sta svolgendo la visita del vescovo Erio Castellucci in Madagascar, accompagnato da Francesco Panigadi e don Antonio Dotti, rispettivamente direttori dei Centri Missionari di Modena e di Carpi.

Il vescovo di Mananjary, Alfredo Caires de Nobrega, durante la sua prima visita a Carpi, nel luglio del 2019, espresse il desiderio di una visita ufficiale alla sua diocesi per far conoscere le realtà missionarie realizzate negli anni, grazie alla collaborazione del missionario Luciano Lanzoni. Negli anni, la Diocesi di Carpi ha vissuto convenzioni con la Diocesi di Mananjary, prima per il servizio di Luciano Lanzoni, missionario laico Fidei Donum, purtroppo deceduto, poi con un accordo formale con la Congregazione delle Piccole Serve del Sacro Cuore, infine con l’accordo per la gestione del servizio alle persone disabili della Diocesi di Mananjary per promuovere e sostenere le realtà che si fanno carico degli esclusi e dei disabili quali la Casa della Carità, il Centro Tsarazaza e i Centri di fisioterapia Mananjary, Ifanadiana e Nosy Varika . Oggi si sta cercando di avviare un quarto centro che sia, a differenza degli altri tre, residenziale in modo da poter agevolare i pazienti che arrivano da molto lontano per sottoporsi alle terapie di lunga durata. L’intento del viaggio è quello di visitare anche altre realtà missionarie, come quella delle Suore Francescane di Palagano. Dopo l’arrivo nella capitale Antanananarivo, il vescovo Erio, Francesco e don Antonio, si trasferiranno nella casa delle Suore Francescane di Palagano che si trova nel quartiere di Ambanidia, dove incontreranno suor Elisabetta Calzolari, originaria di Cavezzo ma ora legata alla nostra diocesi, missionaria in Madagascar dal 1970 e suor Antonella Vitolo. Il programma del viaggio è serrato; prevede l’incontro con il vescovo Fulgence, alla Casa della Carità a Fianarantsoa e quello con il vescovo Alfredo Caires, col quale visiteranno le opere diocesane a Mananjary. Poi Ampasimanjeva e successivamente è previsto il trasferimento a Manakara. Lunedì 3 luglio la giornata sarà dedicata ad un ritiro spirituale per i missionari alla Ferme Saint François d’Assise, dove si trova anche la tomba di Luciano Lanzoni. Nei due giorni successivi faranno visita alle Case della Carità di Ambositra e Tongarivo per poi ripartire alla volta dell’Italia giovedì 6 luglio.

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